mercoledì 5 settembre 2012

LE LINEE DI WELLINGTON – BEEFING JOHN MALKOVICH

Terrificante mazzata portoghese antinapoleonica, parlata in 4 o 5 lingue (ci siamo stufati di contare), innaffiata di attori più o meno famosi – su tutti il John Malkovich eponimo nella parte di uno scazzato duca di Wellington che, alla fin della fiera, porta a casa le sole glorie di aver associato il proprio nome alla ricetta di un manzo al forno e di aver schiavizzato i lusitani per costruire un muro atto a rispedire al mittente le preponderanti forze francesi – e tesa a sostenere che, beh, la guerra è male, la gente muore, le donne sono suore o puttane, gli uomini stupidi e/o assassini. Ah, e c'è un vago senso di onore, popolo, appartenenza – perlomeno dalle parti di Lisbona. I francesi sono (per la verità si dovrebbe dire che erano, al tempo dell'Imperatore primo, ma insomma fa poca differenza) stupidi gretti e destinati alla sodomia non richiesta, i portoghesi eroici ma paesanotti, gli inglesi se la tirano a vuoto. Storia corale, ma alla fine storia di nessuno. Diverse e non poche scene buffe, non sempre volute – su tutto una discreta tensione sessuale, la voglia di non combattere ed invece dedicarsi ad altro (ok, non solo scopare, magari anche semplicemente coltivare la terra). Spettacolo zero, comunque, e pure poco sangue e merda. Ripassare per le emozioni, per capirsi, e pure per le idee. L'unica linea di Wellington che si noti davvero è quella, persa, del girovita di Malkovich – il quale trova il tempo di preoccuparsi di come un pittore francese (scarso, evidentemente, altrimenti sarebbe in forza all'impeto napoleonico) gli ritragga il naso. Di ben altro dovrebbe esser conscio. Le comparsate di altre ed altri più o meno famosi chiaramente non emendano dei peccati le due ore e mezza di inutilità assortite. Piuttosto fatevi due risate sul cornutone lettore compulsivo e sull'annesso ragazzetto muto (parrebbe), stolido e pure vittima di pestilenza: egli viene dapprima preso letteralmente a pietrate da un venditore ambulante (sciacallo di guerra, ovviamente con un cuore) che poi gli regalerà (sempre tramite lancio sul corpo, beninteso) delle scarpe salvo riprendersele in ospedale – infine pare essere un miracolato sopravvissuto alla bubbonica ed ormai inossidabilmente associato all'ex signorotto, a sua volta terminato privo di moglie (passata alle attenzioni non poi tanto convinte di un soldato), beni, coltivazioni e libri. Forse per sopperire alla carenza di letture, il giovane nella scena finale si agita sullo sfondo come un novello Repetto (riverdersi i video degli anni gloriosi degli 883, per chi fosse di scarsa memoria). Ecco, il consiglio è di non vederlo: soprattutto, non a stomaco vuoto. E per stanotte è tutto, dalla mostra del cine.

PS: dimenticavo il grande interrogativo finale - chi cazzo è Zanaga? S'era intravisto nelle dubbie vesti dell'infermiere menagramo Eusebio all'inizio, s'è capito essere una spia doppiogiochista (padre portoghese madre francese, o viceversa, ma comunque uno stronzo) e come tale viene malamente fucilato sulle linee, d'accordo. Ma, sul serio, Zanaga è un nome che non si era mai sentito prima degli ultimi 5 minuti, almeno tra il pubblico. Tra i partecipanti alla tediosissima guerra, invece, scatena un putiferio. Mah.

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