venerdì 28 novembre 2008

Titoli in programmazione

Magari saranno pure dei bei film, però. Oggi, alla ricerca di qualche novità cinematografica per il weekend, ci imbattiamo nei titoli dei multiplex segnalati da internet. Leggiamo: "Bolt". Apriamo il link. Trama: "Bolt è un cane". Chiudiamo. Poi: "Max Payne". Apriamo: "Tratto dall'omonimo videogame". Richiudiamo. Infine: "Solo un padre". Apriamo: "La vita di Carlo, dermatologo trentenne...". Spegniamo. Questo fine settimana si sta a casa. Piove pure.

domenica 16 novembre 2008

Awake - anestesia (del cinema) cosciente

Vi avvisiamo. Il film di oggi è incommentabile. Dunque, ci limitiamo ad elargirvi la trama, con un paio di note qua e là. Se volete farvi del male e andare a vederlo, liberissimi. Grazie comunque di essere capitati qui.
Continuiamo, per chi è rimasto. Si chiama "Awake: anestesia cosciente", la bieca operazione, e riecheggia, in chiave moderna, un mito antico: quello della sepoltura prematura, già indagato, con ben altra tecnica, da Poe. Qui siamo dalle parti della sala operatoria, in cui, come ci ammonisce la didascalia d’apertura, può succedere che una leggera percentuale di pazienti (trentamila su qualche milione) non si addormenti durante l’intervento. Naturalmente, col senno di poi, andrebbe anche specificato se sentano o meno dolore. Ma secondo il trailer “il corpo è sedato”, dunque ci fidiamo. Trama.
Un giovane di immense speranze (lo svagato Hayden Christensen) ha ereditato una fortuna dal padre e dà da vivere a milioni di persone compravendendo aziende. Assistito dalla premurosa madre (Lena Olin, l’unica credibile) e sollazzato dalla splendida infermiera-segretaria-amante (certo, Jessica Alba) ha un solo, piccolo, problema: dovrà subire un rischioso trapianto di cuore. Decide quindi di rivolgersi a un amico chirurgo, imputato di ben quattro casi di colpa medica, del quale, con evidente idiozia, si fida ciecamente. Nel mentre, è vittima di alcuni conflitti familiari: col padre morto, verso cui nutre un complesso d’inferiorità, e con la madre, cui rivela solo alla vigilia dell’operazione (che lei vorrebbe compiuta dall’amante primario di fama, e non dal predetto scalzacani) l’amore per Jessica Alba, non all'altezza, agli occhi di lei, dei meriti del figlio.
Dopo quasi un tempo di film (compreso il matrimonio del nostro con la polposissima collaboratrice) lo operano. E qui comincia il grottesco. L’anestesista non è quello previsto ma un sostituto, un assistente molto affidabile che gira con una fiaschetta di whisky nella tasca del camice. Strano a dirsi, sbaglia qualcosa, e il protagonista, anziché addormentarsi, continua a sentire le voci dei medici, pur non riuscendo a muoversi. Brutt’affare, soprattutto per lo spettatore, che si gode in serie: voce fuori campo che urla dal dolore (ma non era sedato?), faccia del paziente che dorme, corpo del paziente tagliato in due. Non è gore (non come potrebbe), ma nemmeno thriller, bensì pura ridicolaggine, perché nessuno al cinema s’identifica con i pensieri, men che meno doppiati, quando le immagini non li assecondano. Per dieci minuti, compresi gli inserti di Jessica Alba più o meno nuda (lo stream of consciousness lascia sempre libertà), siamo dalle parti dei 5 Kevin. Peccato finisca il primo tempo.
La ripresa, infatti, torna sui binari della bruttura ordinaria. Il regista capisce che l’ideona del titolo ha già esaurito il suo potenziale ed imbastisce un coacervo di retroscena per riempire la pellicola. Apprendiamo dunque, nell’ordine, che:
- Jessica Alba è in combutta col medico (e tutta l’equipe, salvo l’ignaro ubriacone) per far fuori il neo-maritino e scippargli i miliardi, iniettando del veleno nel cuore da impiantare;
- Il padre del protagonista era un cocainomane che picchiava la moglie, fino a farsi uccidere da lei davanti agli occhi del figlioletto (che, chissà perché, aveva rimosso tutto);
- La madre di Christensen aveva scoperto l’inganno e si era attivata con l’amante chirurgo per donare in extremis il proprio cuore al figlio (avendo lo stesso, raro, gruppo sanguigno).
Seguirà nuovo intervento (e sacrificio) riparatore, nonché cattura dei malfattori da parte della polizia.
In tutto ciò, vi chiederete, che fine fa il paziente? Nessuna. Semplicemente, anziché lamentarsi da sdraiato, si lamenta da spirito, in puro stile "Ghost", o se preferite "S.O.S. fantasmi", scoprendo, tra un chiacchiericcio e l’altro, l’orrenda verità. Poiché però, alla fine dei conti, è la madre a salvarlo, si capisce che la storia dell’anestesia cosciente è totalmente inutile ai fini della trama, e come espediente scenico dura dieci minuti. I peggiori, peraltro, dell’intera stagione. Complimenti.
LA SCHEDA
Awake - anestesia cosciente
In una frase: (dopo la fine del primo tempo) "andiamo a vedere l'horror che comincia adesso?"
Sconsigliatissimo:
a chiunque sia incuriosito dal titolo. O ami, a seconda dei casi, gli attori o le attrici avvenenti. Hayden, torna a Naboo. Jessica, torna a Sin city.
Giudizio:
KKKK

lunedì 10 novembre 2008

Quantum (non multum) of solace

Liberi di credere che abbiamo dei pregiudizi su Daniel Craig. Liberi di pensare che, dopotutto, un film su James Bond non possa essere così brutto. Liberi, conseguentemente, di andare al cinema.
Ma per conto nostro "Quantum of solace" (traduzione italiana: un quanto di sollievo, o di sicurezza, o di sollazzo, non s’è ancora capito) è un film noioso, piatto e monocorde. Certo, se vi piacciono gli spari, le corse in macchina, le risse sulle impalcature che crollano, l’operazione non vi deluderà. Ma se vi aspettate un’avventura ironica, arguta e un po’ british, accomodatevi in un’altra sala.
Perché Craig, che forse in contesti più grezzi non sfigurerebbe, non ha nulla di 007. Nulla. È massiccio, torvo, tedesco (nonostante sia britannico). E non può permettersi un sorriso, dunque nemmeno il sesso. Quello che gli servono è pura tappezzeria.
Splendida, invece, Olga Kurylenko, l’ultima Bond–girl, e riuscito, almeno sul piano fisionomico, l’antagonista Mathieu Amalric. Ma poiché il regista, lo svizzero Marc Forster, non poteva permettersi barocchismi, e nel team di sceneggiatori figura Paul Haggis (autore di "Crash", dunque garanzia di polpettone), la vicenda scorre come un normale spin–off del ciclo di Bourne, privato del montaggio magico. Ossia pugni, pugni, pugni.
L’ideale, dunque, per Craig, a cui, nel corso dell’opera, attribuiscono anche più crimini di quelli commessi (o almeno lo fa Judi Dench, una M in crisi di autostima), proiettandolo a far danni un po’ ovunque: Palio di Siena, party ad Haiti, caserma boliviana. Con dialoghi ossuti a complemento. Torna pure Giancarlo Giannini, nel ruolo di Mathis, che in premio viene ucciso da un cattivo e gettato in un cassonetto delle immondizie dal più cattivo Craig, il quale rassicura: “a lui non sarebbe importato”. Vabè.
Per concludere, la trama. Non proprio riuscita. L’ambizione del plot è di affastellare organizzazioni criminali, governi-fantoccio e settori deviati dei servizi segreti. Appesantendo il tutto coi desideri di vendetta di Bond, ancora straziato dalla morte di Vesper Lynd dell’ultimo episodio (Eva Green, per chi si fosse risparmiato "Casino Royale"), e pronto a farla pagare al colpevole. Insomma, una specie di western, di poliziesco, di action. Cioè, di nulla.
LA SCHEDA
Quantum of solace
La frase: "ma che faccia fa?"
Sconsigliatissimo:
a chiunque abbia amato James Bond, quello classico. Aridatece il Vodka Martini. Agitato, non mescolato, brutti zotici.
Giudizio:
KKk

martedì 4 novembre 2008

The burning plain - Il trailer

Se ultimamente siete andati al cinema e siete arrivati puntuali, vi sarà senz'altro capitato di sorbirvi il pastone di 20 minuti di trailer prima del film (almeno se il cinema è un multiplex). E, fra questi trailer, vi sarete probabilmente imbattuti in quello di "The burning plain", l'ultima fatica (?) di Charlize Theron e Kim Basinger. Lo sappiamo, siete morti di noia. La recensione, infatti, non è per voi, ma per quelli che corrono ancora il rischio di vederselo, rovinandosi l'umore prima della proiezione.
E' difficile che un trailer sia palloso. Stantz diceva di averne visto uno, una volta: quello di "Master and commander", con Russell Crowe. Ma almeno lì c'era un po'd'acqua, un po'di mare, un minimo di casino. Qui nulla. Calma piatta. Soap-opera a chili. E una melliflua colonna sonora da pubblicità dell'AIDS, di quella coi contorni viola.
In mezzo, frasi interlocutorie, gente di spalle, scene da un presunto tradimento. Charlize Theron seminuda (l'unico motivo di reale interesse), Kim Basinger scoperta mentre telefona, continui campi e controcampi di sguardi con didascalie originali tipo: "il passato non si cancella" e "ma ogni giorno è un nuovo inizio". L'unica certezza, però, è che non si capisce nulla, e il solo momento dinamico, l'esplosione (burning) di una casa, arriva troppo tardi per salvare lo spettatore dal rincoglionimento.
Per la cronaca. Non andremo a vedere il film, ma se a qualcuno interessa sappia che è dello sceneggiatore di "21 grammi". Il trailer, naturalmente, pesa qualche tonnellata in più.
LA SCHEDA
The burning plain - Il trailer
La frase: "adesso arriva un bambino che rutta"
Sconsigliatissimo:
a chiunque sia puntuale al cinema. Compratevi dei popcorn, piuttosto. In versione Jumbo.
Giudizio:
KKKk

domenica 2 novembre 2008

Pride and glory - Il prezzo (Euro 7,50) dell'onore

Se il cinema italiano ha la mafia, quello americano ha i poliziotti corrotti. Due malattie che rimbecilliscono la sceneggiatura e deprimono la regia. "Pride and glory", di Gavin O'Connor, appartiene alla seconda categoria. E, come tutti i film del genere, intreccia l'illegalità sul lavoro alla - falsa - moralità della vita privata. A capo della famiglia, stavolta, hanno messo Jon Voight, veterano della squadra investigativa, che osserva impietrito (e a tratti sbronzo) il degenerare delle carriere dei figli. Prima, di Edward Norton, che a dispetto dell'aria sofferta - Dio, che spreco - è un onesto difensore della legge, finito a ruminare carte alla "persone scomparse". Poi, di Noah Emmerich, erede designato di Voight, che incappa in un tragico incidente di percorso, quando quattro uomini del suo team (la Narcotici, as usual) vengono trovati morti in un oscuro palazzo di periferia.
Norton si rimetterà in pista, scoprendo i loschi affari non solo del fratello, ma soprattutto del cognato Ray (un Colin Farrell da tappezzeria), anch'egli in divisa, implicatissimo con la malavita portoricana e dedito a corruzione, ultraviolenza e traffici di droga. Sullo sfondo, i classici matrimoni con figli. Di Farrell, periodicamente interrotto nel menage da strane visite di brutti ceffi (delinquenti o colleghi, tutto fa brodo), e di Emmerich, che alla fine troverà il coraggio di redimersi per rispetto alla moglie, malata terminale. In tutto questo, Norton vive da solo su una barca che fa acqua, e sta per separarsi. Forse, l'unico debito pagato all'attore, ormai in caduta libera.
Il resto della trama è immaginabile: cosa accade quando un detective si accorge che suo cognato (o fratello, o figlio), nonché collega, è uno stronzo? A chi resterà fedele? Al Corpo della Polizia o al suo sangue? Siccome è una rubrica di servizio, ve lo sveliamo noi, senza che vi sorbiate 125 minuti di tedio. A dispetto di Voight, che vorrebbe insabbiare (come ogni patriota della prima ora), Emmerich decide di vuotare il sacco, congedandosi dall'uniforme, e Norton va ad arrestare Farrell, vincendone la riluttanza alle manette a suon di sganassoni e palle da biliardo sulla tempia. Il retroscena, peraltro, è perfino peggiore: mentre sta per consegnarlo alla giustizia, il nostro viene avvicinato da una masnada di portoricani armati di spranghe. Rassicurato sul fatto che "vogliamo solo lui", abbandona Farrell al suo orrendo destino. In pratica, l'unico momento di vera gloria del film.
Quanto all'onore, lasciatelo a casa: tecnicamente, l'opera è piatta, scontata e didascalica. E, a parte un po' di steadycam iniziale, affonda negli stilemi più vieti. Un premio alla regia: in una sequenza di dialogo fra Emmerich e Norton, le teste dei due, ripresi in totale, sono bellamente tagliate. E non è - purtroppo - un errore del proiezionista.
LA SCHEDA
Pride and glory - Il prezzo dell'onore
La frase: "questo film mi è passato più veloce dell'altro"
Sconsigliatissimo:
a chi, dai tempi di "Training day", non va più a vedere un film sulla polizia americana.
Giudizio:
KK