giovedì 22 gennaio 2009

IMAGO MORTIS

Prefazione doverosa: non mi piace l'horror. Egon, amico sincero ed amante del genere, mi ci trascina alla ricerca di recensioni facili per sé. Essendo un cultore del genere si adira infatti spesso e volentieri di fronte alla monnezza che gli vien propinata in questi anni. Ma stavolta il prodotto è tale che anch'io, né amatore né conoscitore dei canoni, posso fruirlo appieno. E ve lo avviso: non mi trovate incazzato, tutt'altro. Direi che sono ancora estasiato dall'esperienza.

Terrificante. Questo, in una parola, quel che direi del film. Non funziona niente, non si salva alcunché. E sono generoso. Come un bimbo cui sian dischiuse le porte del paese dei balocchi mi guardo in giro sbavando e non so da dove cominciare. Per rispetto ai lettori, fornisco un riassunto della trama.

In una imprecisata location, che ad occhio potrebbe incarnare la Transilvania indorata da un clima tipo stagione dei monsoni perenne, con pioggia a secchiate da mane a sera (non che si distinguano) e sottobosco composto da specie di salici piangenti nani di una tristezza intollerabile, sorge il Murnau Institute. Trattasi di prestigiosa (si, ok...) accademia di cinema. O qualcosa del genere. Ivi svernano studenti provenienti da ogni luogo della terra – abbondano infatti cognomi spagnoleggianti, intervallati però da germanici, probabili italiani, qualche provenienza slava e, financo, dei cino/giapponesi del tutto immotivati. I fortunati condividono, godendo peraltro di condizioni di comfort tipo braccio di isolamento ad Alcatraz stagione '55/'56 e di igiene tipo peste manzoniana, le gioie e gli occasionali dolori dello studiare cinema in tale atmosfera d'elite. Le attrezzature sono, verosimilmente, fondi di magazzino dei fratelli Lumière, gli insegnanti uno sparuto gruppo di pensionandi psicolabili, l'edificio fatiscente, i dintorni – se non altro – invitano al suicidio. Tra loro si aggira, inquieto, il nostro protagonista – Bruno Marquez, dotato di un invidiabile repertorio di ben due espressioni facciali. Nella prima, che utilizza soprattutto in presenza della sua amata Arianna (una dentuta ma moderatamente piacente Oona Chaplin), ride estasiato dalla propria imbecillità insanabile. La seconda è quella del terrore immotivato – a meno che non senta anche lui la risibile, insistente musichetta con cui ci viene annunciata per 2 o 3 minuti l'imminente comparsata di un fantasma (finesse autoriale, si capisce). Già, perchè ci sono i fantasmi. Dipanando l'intricatissima (certo!) trama, vi svelo che la proprietaria del funebre maniero riadibito a dormitorio per adolescenti (tal contessa Orsini, interpretata da Geraldine Chaplin – secondo me, avevano dei debiti di famiglia), animata da innocente curiosità, anni or sono comprò macchinari e documenti che costituivano il lascito di un certo Girolamo Fumagalli (del Brambilla, verosimilmente, si farà menzione in altro film). Costui, nel tentativo di rendere il mondo un posto peggiore (nonché di sviare l'attenzione da alcune sue rivedibili scelte in materia di copricapi), dedicò la propria esistenza a cercare di fotografare l'ultima immagine vista da un essere umano prima della morte. Sfortunatamente riuscito nel suo intento, costruì un aggeggio dal fantasioso nome di Tanatoscopio (indecifrabile, per l'acuto protagonista, che sentiamo chiedere “cos'è, a cosa serve?”). In sostanza, si fa accomodare un volontario di fronte ad una composizione a nostra scelta. Indi lo si uccide piantandogli una vite nel cranio e simultaneamente gli si strappano i bulbi oculari, tramite i quali verrà poi impressa l'immagine finale su una lastra di vetro. Quasi comodo come una polaroid, bravo Fumagalli. In tempi più recenti, tentativi di sfruttare il marchingegno a scopo di lucro fruttano, invece, morte e follia. Schiatta Tanatoscopata la protagonista di un film, schiatta suicida il di lei moroso, figlio d'un professore (forse, altrimenti solo di un vecchio che abita in mansarda). Il quale però infesta il luogo in qualità di fantasma. Ed infesta pure le giornate del Marquez – che già ha i suoi problemi. La famiglia gli è appena morta in un incidente – ma questo pare il male minore dato che, in causa di ciò, la benevola Orsini spinge il rettore prof Olinsky (Álex Angulo , un idolo) a riprenderlo come gestore del puzzolente, maleolento, polveroso ed inutile archivio della scuola. Una delle massime aspirazioni del giovane, che per il resto:

  1. cerca vanamente di sedurre l'incisiva (ma anche canina, premolare...) collega Arianna, che pur ci starebbe facile ed è tutto dire, stante che lui è chiaramente una scimmia male addestrata;

  2. stringe rapporti di amicizia con un piccolo trafficante alcoolizzato dotato di monocolo e del simpatico nome di Orfeo (amicizia a base di Assenzio, sia chiaro);

  3. esegue brillantemente i compiti assegnati in classe, per dire presentando come fotografia sul tema “tempo” il ritratto di un uccellaccio smangiucchiato e marcito;

  4. alla faccia della vena di allegria.

In tutto ciò viene prescelto dal fantasma per ricevere indicazioni su dove si trovi il Tanatoscopio. Sorpresa! Sta, nemmeno sepolto ma appoggiato per terra, a 5 metri si e no dall'ingresso di una grotta sul retro della villa della Orsini. Lei ed il suo entourage lo cercavano da circa 40 anni. Il Marquez, però, non sa a cosa va incontro. Perde il marchingegno, si inimica l'Olinsky (che, fine nella sua ripicca, convoca assemblea plenaria della scuola per definire Bruno “un poveraccio con dei problemi” con cui bisogna esser buoni dato che gli è appena morta la famiglia ed è psicolabile), assiste impotente ad una serie di morti. In verità, alcune se le sogna. Se non altro, si intuisce che si sdraia infine l'odontofascinosa amichetta. La quale viene poi via via insospettita dagli accessi di demenza del Nostro. Lui, prima di capirci qualcosa, lascia che muoiano deoculati innumerevoli colleghi (e pure il misero Orfeo, si sospetta – ne resta solo il monocolo). Infine si fa infinocchiare dal cattivo di turno, e sta per perdere non solo la vita sua (sticazzi) ma anche quella della Chaplin dai denti a sciabola, che sarebbe pure un peccato. Ma il vecchio Astolfi, padre del giovine suicida/fantasma, interviene a ritmo di liscio e salva la situazione, autotanatoscopandosi in faccia a chi di dovere.

Imago Mortis Per Oculos Tuos, dice, e libera tutte le anime dannate. Obbedienti alle sue ultime volontà, Bruno ed Arianna (che nel frattempo, satura d'amore, lo ha soprannominato Calavera, ovvero teschio di morto) sviluppano la tanatografia – perfetta, pare. Son soddisfazioni. Alla fine Olinsky porta a casa il filmato del tutto e con lui si congratula (con mano malferma assai, ma decisamente granitica in confronto a quella di Astolfi) la Chaplin vecchia. La giovane e l'inguardabile protagonista invece fanno le valigie e lasciano il Murnau. Per la prima volta in settimane non piove. Ennesimo sottilissimo tocco di classe.

In tutto ciò, un profluvio di sconcezze cinematografiche come se ne vedono rarissimamente. Premesso che non è dato essere esaustivi, segue breve elenco:

  • montaggio secondo la scuola ad minchiam: alternativamente si segue il ritmo cardiaco di una vittima di attacco ischemico multiplo o lo si tratta come una scomoda incombenza;

  • sceneggiatura clamorosa – si raggiungono autentiche, sublimi vette di comico involontario;

  • recitazione a livelli assoluti, su tutti si staglia però Álex Angulo AKA Olinsky – egli, forte di una somiglianza con il grande prof Wittemberg di .Hans, si lancia giù per il dirupo dell'arte, alternando sguardi attoniti che strappano la risata immediata a movimenti totalmente casuali delle mani (memorabile il confronto con Astolfi durante il quale, a metà di una frase, prende a far roteare senza motivo alcuno l'avambraccio destro con mano aperta e rigida);

  • non è il solo, però, a lanciare improvvisi ed angoscianti sguardi in macchina;

  • la Chaplin vecchia è palesemente sotto stupefacenti per l'intera durata della cosa;

  • colonna sonora men che dilettantesca;

  • ammiccamenti cinefili da 0,2 soldi a piene mai: Murnau, Caligari, ma per favore!

e molto altro potremmo aggiungere. Ci si permetta solo di precisare: Stefano Bessoni, pare, insegna Regia a Cinecittà. C'era da scegliere tra questo ed il virus Ebola. Per una volta, agli africani è andata di gran culo.

Inevitabile postfazione: durante la proiezione ho avvertito dei brividi. Pensavo si trattasse di sindrome di Stendhal. Le successive 36 ore con febbrone equestre e sintomi assortiti mi han convinto che l'influenza giocasse invece un suo ruolo. Ma credetemi, è davvero qualcosa di spettacolare. Sfortunatamente il finale non sembra preludere ad un sequel. In caso contrario, in omaggio alla regola secondo cui tali prodotti son peggiori degli originali, a vedere Imago Mortis 2 avrei portato parenti ed amici, organizzando un rinfresco di benvenuto. Altro che il giorno della mia laurea.


LA SCHEDA

IMAGO MORTIS

In una frase: "[così facendo] si libereranno tutte le anime, ma soprattutto si realizzerà la perfetta tanatografia"...


Sconsigliatissimo: boh? io in realtà lo consiglio. Ho riso da morire. Ecco, forse se amate l'horror non è il caso. Proprio no.

Giudizio: KKKKk

3 commenti:

Unknown ha detto...

ahah bella la tua recensione..mi hai quasi convinto a vederlo

Anonimo ha detto...

voto...10 ma non al film, bensì alla recensione che mi ha fatto letteralmente "sbudellare dalle risate"...
l'unica cosa???
avrei tanto voluto capire la fine...vabbè...
grazie per avermi comunque allietato qualche momento al lavoro!

Anonimo ha detto...

Ma il film l'hai visto...? O stai solo spalando m***a a vanvera...?

Mi sa che chi sacrifica qualità per ''audience'' sei tu... Le critiche attirano i lettori, le belle parole meno, e questo tu lo sai, vero ?

Film stupendo.