giovedì 5 maggio 2011

Il reparto - Sei proprio tu, John Carpenter? E io chi sarei?


Non si sa cosa dispiaccia di più: che un grande regista perda la sua verve narrativa oppure mascheri la propria abulia dietro i soliti fantocci da due soldi. Nel caso di John Carpenter bisogna propendere per la seconda ipotesi, perché l’ultimo film da lui diretto, "The ward" ("Il reparto"), è l’ennesima, non richiesta, rimasticatura della bambina fradicia e decomposta che vaga per i corridoi, terrorizzando e uccidendo i malcapitati di turno. Cliché già visto, a profusione, da "The ring" fino a "Saint Ange" e ormai vero e proprio sottogenere, tipo western spiritico.
La storia: indovinate. Protagonista carina che dà fuoco a una casa di legno nella campagna americana degli anni ’60 e viene portata di peso in un manicomio dell’epoca, onde dissuaderla dalle tentazioni incendiarie. Ivi, nella più totale amnesia di parentela e provenienza, fa conoscenza con altre quattro lungodegenti (almeno un paio delle quali pronte per una sfilata di moda: complimenti per il casting), che passano le giornate fra turbe e incomprensioni della più varia risma, controllate a vista da una torva infermiera – personaggio assai promettente ma, ahinoi, del tutto inutilizzato, come del resto il nerboruto collega del reparto di cui sopra, una sorta di onesto conservatore in camice perennemente incazzato.
A muovere (si fa per dire) i fili di questo originalissimo intreccio è l’ambigua figura del direttore dell’istituto, che scruta la nuova arrivata tra un mezzo sorriso e una cartella clinica (nemmeno un sano guardone, come sarebbe stato legittimo), suggerendo al già infastidito pubblico di saperla più lunga del proiezionista. E il retroscena, cioè lo squallido pretesto della malaparata, è appunto il succitato fantasma, che sin dalle scene iniziali, girate in una davvero inaspettata soggettiva, va a fare razzia delle malate, infliggendo loro morti atroci e senza apparente motivo (evidentemente l’esperienza manicomiale non era abbastanza punitiva), con l’unico risultato di liberarne le celle per le future ospiti.
Naturalmente anche l’avvenente neofita entra in contatto con il mostro, che si manifesta tramite gli abituali ammennicoli di genere: rumori notturni, sagome intraviste dallo spioncino (sempre velocissime: "Il sesto senso" insegna), indizi della precedente titolare del loculo su una non chiarita compagna piuttosto malevola. Perché, ovviamente, di ciò si tratta: l’insopportabile zombie, si scoprirà, altro non è che una precedente paziente dell’ospedale, orrendamente fatta fuori dalle suddette mannequin - probabilmente per noia - e pronta a vendicarsi con la stessa moneta. Ecco, dunque, il sempre più sorprendente stillicidio di omicidi, che decima il reparto e la pazienza degli astanti, intesi come contribuenti cinefili, fino alla resa dei conti finale.
Lo spiegone, tuttavia, è dietro l’angolo: lo spirito è solo una proiezione della protagonista, come le altre psicolabili e lei stessa. Tutte creazioni conflittuali della sua personalità, dirottata da un trauma infantile (una violenza subita nella casa bruciata), che il sagace direttore aveva intuito sin da principio, non avendo potuto assistere – per sua fortuna – a un solo minuto del pallosissimo film mentale. C’è tempo anzi per il graffio (?) conclusivo: dopo opportuna cura/convalescenza/incontro coi genitori, la nostra eroina, purtroppo molto meno carina della sua proiezione, ha giusto il tempo di aprire l’anta dello specchio del bagno ed essere assalita dall'alter ego, in perfetto stile "Mai nato" (a proposito: Jumby vuole nascere. Adesso) e, si spera, con esiti fruttiferi.
A questo punto, se state ancora leggendo, vi chiederete che cosa c’entri John Carpenter con una simile nefandezza: ebbene, assolutamente nulla. Del disturbo tipico di certe sue imprese passate ("The fog", "Il Signore del Male", e soprattutto "Il seme della follia") non c’è alcuna traccia, della spudoratezza di altri capisaldi ("Distretto 13", "La Cosa", "Essi vivono") resta solo la speranza, spesso alimentata e delusa, come nella scena dell’improvvisata festa serale nel reparto, piena di potenziali sviluppi e malinconicamente interrotta dalla litania dello spettro. Il tutto, con l’aggiunta di una trita collezione di effettacci e la scomoda scelta di rompere l’unità di luogo per improvvisare una fuga delle degenti superstiti, buona solo per le colluttazioni conclusive. Male, male, male.
LA SCHEDA
The ward - Il reparto
La frase: “Questo film deve svoltare”
Sconsigliatissimo: a chi crede nei ritorni di fiamma. Guardatevi piuttosto il sapidissimo "Drag me to Hell" (trad. it. Stramusoni dal Demonio) dello splendido cinico Sam Raimi. Qui non è aria.
Giudizio: KKKk