sabato 27 aprile 2013

Come un tuono - La sintesi, innanzitutto

“Se guidi come un fulmine ti schianti come un tuono” non è un proverbio, né una frase particolarmente acuta, ma un brano di sceneggiatura sufficiente a dare il titolo (italiano) all'ultima fatica di Ryan Gosling, ancora pervaso dall'aura di “Drive” e perfettamente spendibile per un po' di maledettismo gratuito. In “Come un tuono” (la versione originale è “The place beyond the pines” e naturalmente non c'entra nulla con l'altra), del non fantasioso Derek Cianfrance, il nostro eroe abbandona la macchina per inforcare una moto da cross, corredandosi di tutti gli ammennicoli del genere: capello ossigenato, bicipite scolpito, tatuaggi lungo il corpo (uno sullo zigomo a forma di pugnale lo rende un singolare Pierrot della suburbia) e sigaretta perennemente pencolante tra le labbra, come a dire: recitare no, ma per un poster siamo in prima fila. Stupisce che il film sia a colori, in un certo senso.
La trama, estenuante, è la seguente: Gosling si guadagna da vivere facendo lo stuntman nelle fiere di paese, quando al termine di un'esibizione viene avvicinato da una sua ex di un anno prima (Eva Mendes, bellissima e basta), scoprendo che ha da poco messo al mondo un figlio suo. La cosa gli ingenera un mostruoso senso di colpa (il padre, quand'era piccolo, l'ha lasciato solo) e lo costringe a restare a Shenectady, un posto boschivo e senza dio dalle parti di New York, mollando la compagnia di giro per cui lavora per crescere il pargolo. L'impresa, tuttavia, si presenta da subito disperata: la Mendes, in sua assenza, si è sistemata con la madre e il bimbo a casa del suo nuovo uomo, di colore, che non vede esattamente di buon occhio il ritorno di fiamma. Per di più Gosling non ha un soldo e indossa solo t-shirt bisunte, benché sia ancora chiaramente amato da lei.
Per rimediare si impiega allora da un meccanico del luogo il quale gli consiglia, per sfondare nella società, di rapinare banche: data la sua abilità con la moto, è anche disposto a fargli da complice. Il nostro ci mette poco ad accettare e inizia una nuova carriera, riaccreditandosi a suon di bigliettoni agli occhi della famiglia. Il precipizio, però, è dietro l'angolo: una mattina, Gosling fa una sorpresa alla suocera e si presenta con dei regali per il figlio, compreso un lettino nuovo. In pieno bricolage si imbatte però nel rientro del padrone di casa e, invitato ad andarsene, lo colpisce con una brugola e finisce al fresco per lesioni aggravate.
Il resto è pura discesa agli inferi: il complice gli paga la cauzione ma non vuole più partecipare a nessun colpo, la Mendes si rifuta di vederlo perché – stranamente – inquietata dalla sua impulsività e, come non bastasse, il suddetto ex partner gli sabota pure la moto a scopo dissuasivo (ritrovandosi, per tutta risposta, con una pistola in bocca, lieto di dargli i soldi per comprarsene una nuova). Bisogna far da soli: ma all'ultima rapina qualcosa va storto e l'improvvisato fuorilegge finisce con la polizia alle calcagna. Si rifugia allora in una casa, inseguito dall'agente di turno (un improbabilissimo Bradley Cooper con capello a spazzola e rasatura da poppante) che, con un'incursione da manuale, lo fredda proprio mentre sta dettando le sue ultime volontà al telefono alla Mendes: non parlare mai di me a mio figlio.
Già basterebbe, ma sono passati solo tre quarti d'ora: defunta la prima star, la storia passa – purtroppo – nelle mani dell'altra, e parte un secondo giro di rimorsi: ribaltata la verità nel rapporto ufficiale (anche Gosling ha sparato, ma solo per reazione alla maldestra irruzione del poliziotto, ferendolo alla gamba), l'implume è celebrato come eroe dal distretto ma viene a scoprire che la sua vittima aveva un figlio di un anno, come lui. Per di più i colleghi (sostanzialmente una cricca di mafiosi capitanata da Ray Liotta – e chi se no?), per allietargli la convalescenza, lo conducono a una perquisizione illegale in casa della famiglia della Mendes, sequestrando i proventi delle rapine e spartendosi con lui il bottino.
Ormai moralmente devastato, Cooper decide quindi di spifferare tutto (beh, a parte la propria responsabilità) al commissario il quale, anch'egli uomo d'onore, gli consiglia per il suo bene di tenere la bocca chiusa. Liotta, scoperta la soffiata, gli tende invano un agguato nel bosco (è forse quello il “place beyond the pines” del titolo), inducendolo a un cambio di strategia: consigliato dall'arcigno padre giudice (e dàgli), andrà a denunciare le malefatte all'ispettore capo, in cambio di un posto di viceprocuratore (Cooper è laureato in legge e pare che questo in America sia più o meno equivalente ad aver separato il Mar Rosso) e dell'immunità sempiterna.
Il piano funziona e ci consente, se non altro, di giungere alla terza e ultima parte del film, ormai di una pesantezza intollerabile. Sono passati quindici anni, Bradley Cooper è diventato Bradley Cooper (cioè col capello giusto, i completi su misura e la barba di un giorno) ed è in piena campagna elettorale per farsi eleggere procuratore generale: al funerale del padre, apprendiamo che si è separato dalla moglie e che suo figlio, ora 17enne, vuole andare a vivere con lui. Ennesimo rapporto problematico, se mai l'antifona non fosse sufficientemente chiara.
L'obiettivo si sposta allora sugli eredi dei due protagonisti, che ovviamente si incontrano a scuola e fanno amicizia, a suon di canne e pasticche di ecstasy. Sorpresi nel bel mezzo di uno spaccio finiscono al commissariato, e lì Cooper scopre che il figlio ha conosciuto la persona sbagliata. Scontato l'effetto-domino successivo: tra una confidenza e una ricerca su internet, l'amara verità verrà a galla, spingendo il successore di Gosling a procurarsi una pistola e far giustizia del passato. Riuscirà soltanto a trascinare Cooper nel già citato “posto oltre i pini” (o giù di là), intimandogli di mettersi in ginocchio e chiedere perdono, e scucendogli con l'occasione il portafoglio. Vi troverà i soldi necessari per comprarsi una moto ed emulare i vagabondaggi paterni, nonché – con sua sorpresa – una foto di famiglia col padre che lo tiene in braccio, trafugata all'obitorio dal poliziotto a (vana) redenzione del proprio crimine. La spedirà alla madre come ogni ribelle che si rispetti, mentre Cooper, sano e salvo, festeggerà la propria elezione con gli applausi filiali. A conti fatti, tre film, due ore (e venti) di durata, una sola idea. La sintesi, innanzitutto.

Note a margine:

  • Rivedibile il casting per la parte del figlio di Gosling: in teoria, all'inizio del film, dovrebbe avere non più di due-tre mesi, ma il bimbo scritturato è chiaramente più grande (oltre ad essere di lineamenti nordici, con buona pace delle origini latine della madre);
  • Esilaranti le riprese delle fughe in moto: per rendere il tutto più concitato, il regista crea un effetto accelerato tipo comiche di Benny Hill: bastava un po' di montaggio action;
  • Del tutto inverosimile la svolta della prima parte: prima di entrare in banca per il suo colpo fatale, il protagonista scopre di aver dimenticato il bavaglio. Tuttavia va avanti lo stesso: c'è un'altra ora e mezza di trama, non si può aspettare;
  • Assoluta la sequenza dell'inseguimento: il poliziotto che avvista per primo Gosling descrive al millimetro l'evolversi della situazione alla centrale e, quando finalmente è giunto a mezzo metro dal ricercato, anziché spianargli la pistola davanti preferisce continuare la radiocronaca stile “tutto il calcio minuto per minuto”, cedendo poi la linea a Cooper;
  • Memorabile il momento in cui due poliziotti, brandendo la pistola, urlano al cadavere di Gosling di alzare le mani.

Giudizio: KKKk

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