domenica 10 giugno 2012

Cosmopolis - Viaggio al termine della noia

“L'importante è che ci sia lui”
“Il sughero?”
“Il sughero”

È incredibile pensare che David Cronenberg, il regista delle teste che esplodono ("Scanners"), dei joypad organici ("eXistenZ"), dei bisturi arcuati ("Inseparabili") abbia scritto dei dialoghi simili, e ci abbia imbastito sopra un film. Incredibile constatare che chi ha fatto delle mutazioni corporee il proprio veicolo comunicativo ed estetico, lasciando alla psiche la primogenitura del disturbo, forse l'unica risposta cinematografica possibile a Francis Bacon, sia naufragato in un orrendo polpettone di fumisterie pseudo-filosofiche, vacuo e inconcludente come il peggior Wenders, insensato come un cattivo Antonioni, perfino vagamente necrofilo.

"Cosmopolis", tratto da un romanzo di Don De Lillo (che non leggeremo almeno per le prossime due decadi), altro non è che un tetro viaggio nella noia, nell'incapacità di emozionarsi, nella morte cerebrale. Interpretato dal diafano Robert Pattinson (inspiegabilmente perfetto nella parte), è la controstoria di un tycoon finanziario ventottenne, che passa le sue giornate a bordo di una lunghissima, interminabile limousine, contemplando distrattamente il magmatico traffico metropolitano e intrattenendosi, in chiave semiseria, con un tristo carosello di dipendenti/discepoli.

Salgono e scendono, con la stessa intelaiatura di un'opera a episodi (ai sedili, e al frontal di Pattinson, bisogna purtroppo abituarsi subito) varie figure dimenticabili, spesso involontariamente caricaturali: il genio dagli occhi a mandorla che gioca le fortune del principale sulle oscillazioni dello yuan, le concubine che se lo scopano (compresa una grottesca Juliette Binoche), gli insopportabili esemplari di amiche/confidenti/collaboratrici, che pur di strappare un'opinione (?) al semidio deragliano in un pretenzioso profluvio di pensieri sconnessi. C'è anche un gigantesco rapper, col consueto corredo gestuale, che consola il commosso milionario quando tra i finestrini scorre il funerale del Tupac di turno, suo muzak personale in uno degli ascensori di palazzo.

L'eroe, a propria volta, dà ampio sfoggio di sé, trastullandosi con ogni sorta di agi portatili (computer ultimo grido, cesso estraibile, pareti insonorizzate – il sughero di cui sopra) e ammorbando gli interlocutori con richieste terminali, tipo dove vengono parcheggiate le sue limousine di notte o come attraversare l'ingorgo per farsi regolare i capelli dal barbiere di fiducia.

Tutto ciò, se mai non si fosse intuito, già basterebbe a farci odiare Cronenberg e la senilità, ma purtroppo lo sfondo è, se possibile, ancora peggiore: tra un delirio e l'altro, viene a più riprese rilanciata la bizzarra idea (mutuata dal libro, supponiamo) di un mondo dominato, anziché dal denaro, dai topi. E, per rendere più chiara l'antifona, il regista ci ammannisce perfino l'imbarazzante pagliacciata di uomini in costume da ratto che precipitano, nel corso di un tumulto urbano, sui tetti delle auto in coda. Altri topi - veri, stavolta - vengono lanciati, sempre a scopo di protesta (forse nei confronti del copione), tra i tavolini di un bar, nel corso di una delle scene che rompono l'unità di luogo (e non solo) per consentire a Pattinson di muovere il culo, ed elargire le sue pillole astruse anche fuori dal lussuoso abitacolo.

Sua vittima preferita, in queste sortite periferiche, è una bionda imbambolata, anch'ella devota all'eloquio decerebrato, che oltre ad essere ricca sfondata è altresì promessa sposa dell'intellettuale, e dichiara ripetutamente di voler fare sesso con lui, senza tuttavia dar mai corso al proposito. Staziona invece ovunque la stolida guardia del corpo del giovane prodigio, mai doma nel segnalare, a intervalli regolari, un pericolo incombente per la sua incolumità.

Dopo un primo tempo di questa risma, Cronenberg, ormai sul cornicione del cupio dissolvi, decide all'improvviso di andare per le spicce, e scioglie i pochi interrogativi lasciati a mezz'aria facendo finalmente abbandonare a Pattinson l'utero veicolare. Lo vediamo dunque scendere, liberarsi in modo risibile del bodyguard (“mi dici come funziona la tua pistola?”) ed entrare nella bottega del tonsore d'infanzia, che riesce tuttavia a completare solo metà del lavoro, prima che l'irrequieto si risolva ad uscire, per scoprire chi vorrebbe ucciderlo. Due passi nella suburbia e s'imbatte, previo barbone sulle scale, nel suo aspirante killer: un disastroso Paul Giamatti, con asciugamano in testa stile suffumigi e arma da forze speciali in pugno, sommerso dalla sozzura e pronto a rifargli i connotati.

Ne segue indecisa sparatoria e, a bocce ferme, banalissimo pistolotto (in quanto tale, la cosa più vera del film) del tipico ex dipendente licenziato per scarsa produttività, ora nella merda, che se l'è legata al dito – anzi all'asciugamano – e vorrebbe vendicarsi, radendo al suolo tutto il capitalismo e i suoi più fulgidi interpreti. Pattinson, che è in rottura prolungata da un tempo e mezzo, ha esaurito le strade per provare qualsiasi forma di piacere e non vede l'ora che qualcuno gli faccia saltare una volta per tutte il cranio, riesce soltanto a creare un pre-finale sparandosi volontariamente alla mano, per poi attendere, con vena pulsante sulla fronte, che il suo giustiziere chiuda la scena. E noi con lui. Ma lì, a tradimento, ecco lo stacco sul nero. Povero Cronenberg.

Note a margine:

  • Decisiva (soprattutto per i nervi) la sequenza dell'indagine prostatica a bordo della limousine. Per alcuni (troppi) minuti, assistiamo nostro malgrado all'ennesimo monologo di Pattinson, reso via via sempre più faticoso dall'avanzare della mano del medico personale all'interno dei suoi visceri, fino ad appunto raggiungere la prostata. “Asimmetrica”, decreterà il luminare. Donde metafora sulla disarmonia all'origine del progressivo declino del protagonista. Vi accennerà anche Giamatti, ma con maggiore trasporto. Non viene voglia di fare verifiche sulla propria;
  • Di pura tappezzeria l'atmosfera da attentato politico che aleggia nella prima parte del film: il traffico, già malmostoso, è reso impenetrabile dalla “visita del Presidente” in città. Il consequenziale caos fa da volano ai timori per la vita del magnate, esposto a una non chiara minaccia: per rendere il tutto più semplice, Cronenberg, via guardia del corpo, ci propina un video di repertorio di un agguato a un politico coreano nel corso di un talk show. La scena è tanto brutale (varie coltellate al volto) quanto ridicola, soprattutto per le leggerissime falle nel sistema di sicurezza della vittima;
  • Lunghissima, e noiosissima, la sequenza della torta in faccia a Pattinson al momento di uscire definitivamente dalla vettura. Il relativo disobbediente è impersonato, purtroppo, da Mathieu Amalric, che pure indulge nell'intemerata prima di essere allontanato dalla storia e, si confida, dal set;
  • Incredibile la disinvoltura con la quale il vecchio barbiere del protagonista inizia a tagliargli i capelli, senza accorgersi che il suo cliente ha mezza parte del viso incrostata di torta di panna.

Margine alle note:

Di questo film non abbiamo capito nulla. Era una storia sul crollo del sistema capitalistico? Sul tramonto dell'occidente? Sulla perdita di valori? Sul sesso in limousine? Sui topi? Non sapremmo dire, ma conserviamo una certezza: l'importante è che ci sia il sughero.

Giudizio: KKKKk