mercoledì 11 febbraio 2009

Operazione Valchiria - Hi, Hitler

Non volevamo recensirlo. Davvero. È un film che, a dispetto del tema, passa piuttosto inosservato. Regia senza guizzi, storia didascalica, recitazione di mestiere. Insomma, il classico poliziesco. Girato in costume per via dello scenario: Germania hitleriana allo sbando, anno 1944.
Però. C’è sempre un però. Perché se dietro la macchina da presa metti Bryan Singer (e alla sceneggiatura Christopher McQuarrie, il suo compare dei “Soliti sospetti”). Se davanti ci metti Tom Cruise. E se lo agghindi con una benda, un braccio monco e una pettinatura stile Groucho Marx. Se fai tutto questo, devi aspettarti qualcosa, nel bene o nel male. Certo, preferibilmente nel male.
Si parla, immaginiamo lo sappiate, di un fatto vero. Una congiura che mira ad uccidere Adolf Hitler, ordita dal colonnello della Wehrmacht Claus Von Stauffenberg (Cruise, ovviamente), in pieno declino dello strapotere nazista. La guerra si sta perdendo, e già prima di essere bombardato a un campo base (rimettendoci occhio e mano), il nostro medita di ribaltare il Fuhrer. Raduna, non senza fatica, vari adepti, chi più chi meno implicato col regime, per riscrivere l’”Operazione Valchiria” che dà il titolo al film: si tratta di un piano per convocare la riserva militare del Reich in caso di invasione alleata. Il colonnello decide di stilarla cambiando la premessa: non più un attacco esterno ma un colpo di stato. Con annessa morte di Hitler, e soppressione successiva delle SS. Idea ambiziosa, che verrà firmata (guai a non leggere da cima a fondo quel che passa sulla scrivania) dal Cancelliere in persona. La storia ci informa che, per un disguido, il complotto non sortirà gli effetti sperati. L’attentato (una bomba innescata da Stauffenberg ed esplosa nella “tana del lupo”, il bunker di Hitler, nel corso di una riunione di alto profilo) non ammazzerà il Fuhrer. Basterà tuttavia per indurre il suo autore, di ritorno a Berlino, a diffondere la falsa notizia della morte per prenderne il potere. L’inghippo riesce solo all’inizio, finché Hitler non comunica ai gerarchi che è ancora vivo, e che l’esercito deve punire i traditori.
Ora, che fosse difficile girare un thriller conoscendo già il finale, era intuibile. Che la storia si afflosci di brutto nella seconda parte, dopo l’attentato fallito, era prevedibile. Ma che nonostante questo nessuno abbia segnalato a Singer che era successo qualcosa di terribile col casting, onestamente no, non si poteva immaginare. Perché passi per la scelta di fare interpretare il protagonista a Tom Cruise (che è americano, ma pure famoso), ma che tutti i co-protagonisti, nel ruolo di generali tedeschi, siano britannici, è assolutamente inaccettabile. In serie: Tom Wilkinson (inglese), Bill Nighy (inglese), Terence Stamp (inglese). Più Kenneth Branagh (nordirlandese). Perfino Hitler (cioè l’attore David Bamber) è inglese. Ben presto viene il sospetto che la sceneggiatura sia di Churchill (sospetto subito sventato, visti gli esiti del plot).
Il resto? Non migliore. E non tanto perché non siano approfondite le ragioni personali del leader dei congiurati (come avrebbe voluto qualche critico, che forse pensava di trovarsi di fronte ad un documentario). Ma perché proprio Cruise, che lo impersona, non è evidentemente a proprio agio. Ridotto all’obbedienza dalla benda nera, maschera repressioni e ire da par suo, indossando l’occhio di vetro solo dinanzi al Fuhrer. Ma non può resistere al ridicolo, almeno in due scene: una, in cui la segretaria lo guarda dopo la stesura della prima riga dell’Operazione (“Adolf Hitler è morto”), vero e proprio monumento all’imbarazzo, un’altra, indimenticabile, in cui urla a tutto schermo, levando il moncherino, “Heil Hitler”. Hi, visto il cast, sarebbe stato più appropriato.
Non va meglio al Cancelliere, peraltro. Meno geometrico di quanto auspicato, risulta titubante e rincoglionito, aggirandosi per le scene col piglio del segugio che non identifica quello che annusa. E venendo, a seconda dei casi, indottrinato o palesemente preso in giro. Oltre che bombardato, come già si sapeva. Del resto, sembra il minimo: l'esercito della Regina ha ormai preso possesso di Berlino, mentre il Fuhrer, nel suo buen retiro, sorseggia amabilmente una tazza di tè.
LA SCHEDA
Operazione Valchiria
In una frase: “ogni secondo che perdiamo è un secondo perso”
Sconsigliatissimo:
a chiunque pensi che un film sul nazismo debba avere, perlomeno, un protagonista biondo.
Giudizio:
KKK

sabato 7 febbraio 2009

Viaggio al centro della terra 3d

3 dimensioni – 2 recensioni! Perché, anche in tempo di crisi, non ci facciamo mancare nulla – e poi, chi cazzo si credono di essere quelli della New Line?

Avviso: ho un impulso potente a polemizzare con Egon. A non limitarmi a riferire il mio parere bensì a contrastare il suo, contrapporre i punti di vista, sovrapporre l'opinione, insomma scatenare la rissa critica. Così, perché son simpatico. E perché il film, diciamocelo subito (via i denti – quelli del T-Rex, che “fanno male”, come ci informa l'ineffabile Fraser – via i dolori!), è porcata integrale ed insalvabile. E mi ci ha trascinato lui, l'amico Spengler, in cerca di emozioni 3D. Quindi medito e merito vendetta tremenda vendetta. Ma cercherò d'essere obiettivo e, soprattutto, di concentrare il rigurgito verso la squallida vaccata circense e non verso il collega recensore. Imo, dunque, al centro della melma.

Domanda: come si parla del nulla? Seguiremmo Wittgenstein e concluderemmo, rapidi ed affossanti, che di ciò di cui non si può parlare è d'obbligo tacere. Ma vogliamo esser generosi (falso, trattasi di logorrea), e procediamo comunque a disquisire. Nel caso in esame abbiamo 93 minuti (secondo l'internet movie database: non vi pensiate che mi sia messo a controllare il display di un orologio o cellulare, desolatamente bidimensionali, durante l'esperienza 3D) di assoluta vacuità, di sceneggiatura inesistente puntellata col ridicolo, di effetti speciali rozzi a se stessi, di pochi ed irritanti esseri umani, di violenza efferata ai danni dell'opera di un grande scrittore.

Riassumendo: un manipolo di fetenti produttori, sceneggiatori e registi ha letto (controvoglia) una riduzione per bambini di un libro di Jules Verne. Colpiti da illuminazione prematura han deciso di farne un blockbuster – ma non sia una cosa banale, diamine, facciamolo dunque in 3D! Ché la tecnologia ha fatto passi da gigante e, laddove il talento è oramai estinto, possiamo sopperire con la computer grafica. Hoplà imbarchiamoci nel baraccone e coinvolgiamo il simpaticissimo (e panzuto) Brendanfraser-quello-della-mummia, con contorno di attori sconosciuti e svogliati oltremisura. Mettiamo lui, l'infallibile Brendàno, nel ruolo di un professore di geologia. Bizzarro, nella vita e nella ricerca, ed in preda a psicotica ossessione per un fratello scomparso 12 anni prima perseguendo qualche insana passione per la fantascienza in una cava islandese. Sull'orlo del totale collasso sul lavoro ed oramai allo sfascio nella vita privata egli viene salvato dall'arrivo del nipote: tredicenne nano ipertecnologico, scazzato dallo zio ma ingrifato da ogni forma di vita femminile, viene sbolognato a Fraser dalla oramai ex moglie del fratello defunto vogliosa di andare a cercar casa in Canada. Il sottosviluppato (il ragazzino, non l'adulto), nonostante sia eroicamente disinteressato al lavoro dello zio (lavoro, vabbè...), si rivela più sveglio di lui nel notare che su un monitor campeggiano 4 e non 3 lucine intermittenti. Questo, incrociato a numeri del lotto segnati dal fratello-padre su una stantia copia di Viaggio al centro della terra, induce “o professore” a pagarsi, tramite collezione di monetine che gli occupa il tavolo di cucina, un viaggio aereo fino all'islanda, trascinandosi dietro il pargolo. Ivi giunti conoscono la gnocca di turno (grammatica elementare dei film d'azione, suvvia!), di mestiere guida di montagna, anch'ella orfana di parente (il vecchio padre) a causa Verne e geologia (combinazione che fa più morti del vaiolo, pare). La convincono, non con la retorica e l'amore per la scienza ma scucendo dei bei soldoni, a guidarli alla bocca di un vulcano in cerca dell'origine della lucina. Di qui in poi, si svacca davvero. Il trio prima finisce prigioniero di una grotta serrata, quindi percorre miniere a cavallo di un carrello sulle orme di Indy, infine saggiamente si mette a passeggiare su uno strato di moscovite (roccia sottilissima, per chi di voi non avesse un dottorato in geologia) onde fare incetta di diamanti. Frana la moscovite, cadono i nostri per un tempo infinito lungo un tunnel che conduce, indovinate?, al centro del pianeta. Ove atterrano sani e salvi (ok...) e scoprono un mondo meraviglioso. Il che equivale, per lo spettatore, ad un'ora buona di tortura in digitale. Nulla è reale e tutto, invece, è potentemente ridicolo. I passerotti son fluorescenti e benevoli, i pesci zannuti ed aggressivi, il fratello morto e sepolto in riva al mare, il calore – per i protagonisti – insopportabile. E meno male che soffrono, perdio! Ancora: Brendan eradica, afferrandola per i testicoli, una pianta carnivora formato gigante, l'oceano infestato viene navigato tramite una specie di aquilone gigante (che poi si trascina via il nano, in una scena esilarante soprattutto per l'urlo di dolore di un Fraser palesemente in fase digestiva), il tirannosauro invece di divorarsi il tredicenne preferisce sbavargli addosso di sorpresa. E poi muore, da fesso qual è, franando ignobilmente su uno strato di sottilissima moscovite – lo vedi, a non studiare, cretino?

Alla fine del viaggio il trio, nonostante ripetuti tentativi del professore di sabotare la sua e la comune sopravvivenza, giunge a salvezza sotto forma di comodo geyser ascensore locato al termine di un fiume. Navigano, per la vostra inesauribile soddisfazione, sull'enorme mandibola di un dinosauro convenientemente adattata a gondola dall'avvenente islandese (che, nel frattempo, ha moderatamente rivisto le proprie posizioni sulla sanità mentale del defunto genitore). Sbucheranno dal Vesuvio, che scopriamo esser coltivato a vigneti da un autoctono – che però parla un po' di siciliano, per gradire. Tanto, viene tacitato (e placato nella sua disperazione per la devastazione della vigna) dall'offerta di uno dei diamanti imboscati dal tredicenne.

In conclusione Fraser passa da fallito sul lavoro e nella vita privata a scienziato di successo ed eroe d'azione (benchè sovrappeso), per di più dotato di gnocca bionda europea e di soddisfazione per aver riabilitato la memoria del fratello demente. Il nipote, invece, ha trafugato un uccelletto luminescente e se lo perde in città col risultato verosimile di devastare irreparabilmente il nostro ecosistema. Non contenti di ciò, si salutano ripromettendosi di incontrarsi nuovamente presto e col regalo di un libro su Atlantide. Temo un sequel. Non c'è scelta, dovrò strapparmi un occhio – privo della visione binoculare dovrei, se non altro, scampare al maledetto treddì.

LA SCHEDA

Viaggio al centro della terra 3d


In una frase: "si, vabbè, sputami in faccia, cazzo!" - segue sputo di Fraser verso la macchina da presa. In 3D.

Sconsigliatissimo: Verne era il mio scrittore preferito, da bimbo. Non credo necessiti aggiungere altro.

Giudizio: KKK (uno per ogni dimensione, e son generoso)

Viaggio al centro della Terra 3d

Dobbiamo ammetterlo. Non saremmo mai stati incuriositi da “Viaggio al centro della Terra” se nel titolo qualche esprit de finesse non avesse aggiunto la dicitura “3d”. Tre dimensioni! Da quanto tempo non andavamo a vedere un film in tre dimensioni! L’ultima volta era successo a Eurodisney, con un corto di Landis chiamato “Captain Eo”, dove Michael Jackson, ancora nero, si dimenava senza timore che gli cadesse il naso. Ma la prima (ed unica) al cinema era di qualche anno prima: “Nightmare 6 – la fine”, un’autentica bruttura che riusciva tuttavia a peggiorare nelle sequenze conclusive, quando veniva dotata di profondità grazie a dei prodigiosi occhialini. Beh, occhialini: più che altro squallide montature di cartone con delle pellicole colorate al posto delle lenti. Ottime, al massimo, per chi volesse godersi un’eclissi di sole, benché indispensabili: senza, tutti i personaggi sarebbero somigliati a Pizza Margherita, quella di “Spaceballs”.
Oggi, però, i tempi sono cambiati. Gli occhiali non sono più cartonati ma plasticatissimi ed ipertecnologici, stile operaio siderurgico. Vi costano un euro in più sul prezzo del biglietto, ma ne vale la pena, perché il munifico multiplex vi abbona pure i trailer in tre dimensioni (tutti pupazzetti, peraltro). Non vi resta che entrare in sala, rivolgervi allo scazzatissimo addetto al divertimento e prendere in consegna, in sacchetto sigillato, i magici arnesi. Indossate, e godete. Ma poi, per cortesia, restituite, perché in tempi di crisi non si regala nulla, ed è un peccato. Quelli di una volta erano pret-a-porter.
Trama. Eh, diciamocelo: la storia, almeno quella buona, l’ha già scritta Verne, quindi faremmo un torto a lui, a voi e a qualche recensore più analitico se ve la raccontassimo per filo e per segno. Ci limitiamo dunque all’essenziale: c’è un sismologo fallito (il probabile Brendan Fraser) che deve ospitare, suo malgrado, il nipotino tredicenne a casa propria per qualche giorno. Insieme a una scarica di insulti dell’affabile marmocchio (doppiato misteriosamente da un 35enne, forse per suggerire maturità al cospetto dell’infantile zio), gli arriva anche uno scatolone con gli effetti personali del fratello, padre del rompipalle, scomparso in circostanze misteriose durante una spedizione in Islanda. Tra uno yo-yo e qualche aggeggio ridicolo, il nostro eroe scopre la presenza di un’edizione unta e bisunta del “Viaggio al centro della Terra” di Verne, glossata con strani geroglifici che – vai a capire il caso – richiamano pari pari le sue ricerche scientifiche. Eccitato dalla coincidenza, decide di partire col nipote per l’Islanda, tutto preso dai fanatismi del predecessore: il fratello, infatti, era un verniano, ossia un bizzarro individuo convinto che i racconti di Verne siano veri, e che sotto i nostri piedi esista effettivamente un altro mondo, non – com’è noto da secoli – i gironi danteschi.
Giunto a destinazione, incontra un’autoctona molto carina, pure lei implicata in parentele scomode: è infatti la figlia di una specie di Chester Copperpot post-litteram, morto da qualche anno, ed anch’egli – ahinoi – verniano duro. Tra una pagina ingiallita e l’altra (riposa in pace, Jules), i tre decidono di mettersi in marcia per far luce sulle scombicchierate teorie dei visionari. E qui comincia lo spasso (?). Il film, infatti, per tutta la prima parte, è incentrato sulla dabbenaggine di Fraser, che all'inizio si attira addosso dei fulmini, poi genera una frana che intrappola lui e i suoi compagni di sventura in una caverna, infine tenta di portarli fuori dando, immancabilmente, suggerimenti sbagliati e pericolosi.
La morale del seguito è intuibile: le teorie di Verne sono ultravere, dunque i nostri si ritrovano effettivamente nel calorosissimo centro della Terra, alle prese con creature che al piano di sopra sono estinte da secoli, o al più ipotizzate nei libri di (fanta)scienza. Nel mentre ritroveranno anche i resti del fratello dell’eroe, affronteranno rischi di ogni sorta, e riusciranno a risalire in superficie, precipitando sulle pendici del Vesuvio.
Vi chiederete: e il 3d? Beh, non tradisce. Dopo una sequela di avvisaglie (Fraser che ti sputa addosso, collega di Fraser che sguaina un metro, yo-yo che ti piomba in faccia), arriva lo spettacolo: carrelli sui binari morti, fungoni gigantoni (sic), pennuti al neon, pesci volanti dentuti (ottimi per giocarci a baseball), pietre sospese e, dulcis in fundo, tirannosaurus rex che ti risputa addosso, più e meglio di Fraser. Insomma, una rimasticatura di "Indiana Jones", o piuttosto di certe imprese di Nicholas Cage, impreziosita da alcuni buchi nella sceneggiatura (gli zaini dei protagonisti scompaiono e riappaiono magicamente, a seconda delle necessità) e da una perla assoluta, preannunciata nei trailer: Fraser, biologo di fama, che alla vista di un ribollente fiume rosso chiarisce: “è lava!”. Grazie, lo capivamo anche in due dimensioni.
LA SCHEDA
Viaggio al centro della Terra 3d
In una frase: "Vado su Google a 9000 metri"
Sconsigliatissimo:
a chiunque, vedendo la performance di Fraser ne "la Mummia" teneva per la Mummia.
Giudizio
: KK (avvertenza: se indossate gli occhiali, diventano quattro)