Premessa:
avevo intrattenuto uno scambio e-pistolare riguardo a questo film. Ho
deciso, come sempre per ragioni di (dis)servizio pubblico e di
privatissimi onanismi, di farne recensione. Sfaticato come di
consueto (è un credo, sia chiaro) opto per un riciclo parziale di
cose già scritte. Per rispetto di punti di vista e diritti altrui
non includerò l'intero carteggio: mi limiterò a dar voce alla mia
insoddisfazione sotto forma di letterina a D. Cronenberg. Risentita,
come si conviene.
Caro David,
posso
chiamarti David, vero? Dopo tanti tuoi film visti mi sento quasi di
conoscerti. Perlomeno, questo pensavo finché non ho avuto la
terribile idea di recarmi con amici a vedere l'ultima tua opera.
Premetto subito la sola scusante possibile: dato che vivo,
disgraziatamente, in Italia, mi son visto costretto alla versione
doppiata di Cosmopolis. Può darsi che, nel processo, si siano persi
poesia, profondità, efficacia e senso del ridicolo presenti
nell'originale. Se così fosse, mi dovrei onestamente lamentare un
po' meno. Avrei comunque voglia di prenderti sotto con la macchina,
ma con minor rancore; non so se mi spiego. Ciò detto, permettimi di
rubarti un po' di tempo con una sincera disamina del tuo ultimo
prodotto. Ho
visto il tuo film, dicevo, in
compagnia di due amici (uno dei quali, indovina?, è il coautore del
blog: avrebbe due parole da dirti pure lui). Ho rischiato il
linciaggio a metà proiezione, stante che la proposta era venuta da
me. Poi le opinioni divergevano, come giusto: c'è chi pensa che si
sia parzialmente riscattato nel finale, ma non abbastanza per
salvarsi. Per me, invece, il finale è intollerabile. Mi risulta
banale in modo agghiacciante. Rewind.
Avevo
sopportato la prima metà (abbondante) nonostante un macroscopico
difetto: c'è chi lo ha definito "irto di parole" ma,
ammettiamolo, è verboso oltre la decenza.
Capisco
bene che additare altri per questo crimine essendo io stesso uno che,
non a torto peraltro, è stato accusato più volte di essere
orrendamente prolisso possa suonare perlomeno ipocrita. Però io non
faccio cinema. Avevo detto, prima di vedere Cosmopolis, che “di
Cronenberg temo le ossessioni nei contenuti e non nella forma”
(vedi? Parlo di te con rispetto e con la sensazione di conoscerti,
perlomeno attraverso le tue creazioni).
Perché
c'erano contenuti (almeno, a mio modo di vedere), espressi tramite
una forma estremizzata. Qui francamente mi sembra che la forma sia la
sola cosa, o quasi. E, laddove di solito tu metti in scena violenza,
mutilazione, mostruosità, qui stai perpetrando una violenza sullo
spettatore. Non gradisco così tanto, per essere sincero. Borges
sosteneva che fosse ridicolo e stupido spendere 500 pagine per una
storia che si poteva ben accomodare in 20 righe, e perciò non
scriveva romanzi. Estremismo, chiaro, e probabilmente ce lo si può
permettere solo se si è Jorge Luis Borges (io so bene di non stare a
quell'altezza, credimi lo so e non è per la presunzione folle di
esser migliore di te che ti dico quel che ti sto dicendo: è per vero
affetto, è per la speranza che non ti capiti più di mettere il bel
faccione - senza naso, ma bello, lo ammetto - di Pattinson su
locandina e perennemente su schermo e pensare che tanto basti a fare
un film).
Estremismi
o meno, i pipponi al cine mi risultano indigeribili. Quando poi sono
vomitati in modo del tutto atono e privo di passione (ancora: magari
in inglese, però mah) per oltre un'ora, si raggiunge un limite
pericoloso. Detto ciò, cercavo di farmi portare, di scovare
angolature, di trovare una via mia a questo film, a questo libro che
non ho letto ma oramai ho ascoltato per intero (domanda: ti piacciono
gli audiolibri? A me: no, per niente. Ed allora perché ne ho dovuto
sorbire uno al cinema?). Mi rendevo conto che, normalmente, le scelte
estetico/stilistiche col marchio Cronenberg risultano fastidiose a
molta utenza ed invece per me sono in primo luogo interessanti,
stimolanti. Qui ero infastidito io: e passi, può far parte di un
processo, di un modo di comunicare – ed anzi era una sensazione
nuova e per questo in qualche modo mi intrigava. Il problema è che,
stavolta, mi annoiavo abbastanza.
E
non bastano due scene di sesso con non-tanto-giovani e parecchio
sbaldraccanti attrici (ma la Binoche, quella che si mette a saltare
sulle cosce dell'ex vampiro con finto entusiasmo e urlacchiando
malamente, non era un'attrice? E poi, su, “sono una donna di 41
anni”? Davvero?) per destarmi; tantopiù che sono pura noia del
protagonista (si vorrebbe fottere l'unica giovane del film, peccato
che sia tinta, frigida e – soprattutto – sua moglie). Ah, già,
c'è poi la scena dell'invasione anale da parte del manone guantato
del dottore. Grazie, David: non ero abbastanza preoccupato all'idea
di un esame della prostata. Sgradevole, la scena, ma passi. Il
delitto non è nell'inquadratura sudaticcia (a proposito: tutte con
telecamera fissa o quasi, queste scene di sesso: ti annoi, David? Non
ti ecciti più? E se è così: perché lo vuoi far scontare ai tuoi
affezionatissimi spettatori?), è nello scambio di battute. Il 28enne
bello e ricco, nudo e con la mano di un estraneo su per il culo,
ansima, contorce il viso, suda. A 10 centimetri 10 dalla faccia di
una giovane in tuta, pre-sudata (stava facendo jogging nella sua
unica giornata libera del decennio), che riprende a traspirare ed
accartoccia senza pietà a più riprese la bottiglia d'acqua stretta
tra le cosce possenti. Abbastanza chiaro il messaggio? Evidentemente
no, dato che ci tocca sentire il Pattinson in versione delucidatore
“E' tensione sessuale, stai stropicciando la bottiglia perché
blablabla”. Eccheccazzo. Avrei dovuto capirlo qui, dove si andava a
finire. Ed invece quasi ti credevo, ero propenso a darti altre
chance: la prima parte mi aveva, tutto sommato, fatto sorridere con
almeno un paio di boutade talmente risibili da non poter essere prese
sul serio (almeno per me, altri dissentivano in modo anche marcato,
ed assai incazzato: non voglio fare la spia, David, ma c'è chi
proprio ti ha insultato ed accusato di prenderti orrendamente sul
serio, anche di fronte ai totem di rattoni agitati dalla folla che
assalta limousine, ai giovani miliardari che videogiocano tutto il
tempo, a quelli che vogliono attraversare New York – lo sappiamo
tutti che è NY, si può dire, vero? - intasata dalla visita del
Presidente e sotto assedio rivoluzionario per farsi rifare i
capelli). Il mostro del mondo moderno, tutto sommato, si può ben
rappresentare così (rimango del parere che si dovrebbe usare circa
un decimo delle parole, ma sorvoliamo). Però il finale, il finale
con l'alternanza tra la (finta, stupida e non credibile) mattana di
Suor Giamatti ("se anche ci fosse solo un fungo tra le mie dita
dei piedi che mi dice di ucciderti io lo dovrei fare" - ma
scherziamo?) e le rivelazioni; l'apologo del cazzo col poveraccio, il
proletario che vuole vendetta contro l'onnipotente che ha distrutto
il mondo e però si sente rispondere (legittimamente) "ma se
fino a ieri non ti interessava niente dei tuoi simili?" - e poi
ancora lo spiegone della prostata asimmetrica come metafora del mondo
asimmetrico, dell'imprevedibilità come parte del sistema, ecco tutto
questo ho trovato pedante ed insopportabile. Perché è banale,
scontato, non interessante. La prima metà mi può aver dato
fastidio, ma almeno non mi ha trattato come un infante ("patronize",
vorrei usare il verbo inglese). Il finale l'ho, semplicemente,
odiato. Se devi fare 1h40m di parole parole parole per smembrare il
mostro della modernità non puoi, semplicemente non puoi in chiusura
venirmi a fare il riassuntino, la spiegazione, il consolante finale.
Packer, alla fine, si sarebbe dovuto sparare in bocca, altro che in
mano. Avrebbe risparmiato al tuo affezionatissimo (ed a se stesso,
"quanto odio dover ragionare") dieci minuti conclusivi di
incazzatura, e magari sarei tornato a casa col dubbio che lo sfacelo
della prima metà, il disfacimento del mondo dei ricchi, i toponi
giganti, le prostate invase e le mogli frigide rimpiazzate per una
sveltina avessero un senso. Come provocazione, come descrizione
(inevitabilmente) malata di una malattia, come ossessione e come resa
al fatto che, secondo categorie classiche ed inadeguate al tempo che
viviamo, nulla ha più coesione o struttura.
Dopo
lo spiegone, mi sento francamente insultato.
Ah,
quasi dimenticavo, ho un'ultima perplessità: ma il fatidico barbiere
(infine raggiunto, oh gioia!) è cecato o solo rincoglionito? No,
perché, a parte il fatto che non s'accorge di nulla, totalmente
impermeabile al mondo esterno, al disgraziato riccone dal muso piatto
(dopo averlo anestetizzato con bordata di melanzane ripiene dirette
dal frigo) infligge un taglio di capelli luttuoso. Va bene che il
cliente se ne va a metà dell'opera, ma quella metà (aridaje
coll'asimmetria) è giusto un filo meno orrenda di quello che si
otterrebbe con una sana spruzzata di napalm. Va di moda nel Bronx,
dice.
Scusa
la prolissità mia, mi son sfogato.
Tuo,
Ray
ps:
forse il fatto che diversi spettatori dissentano (anche
profondamente) su dove stia il problema è segnale che, comunque,
questo film in qualche modo riesce a smuovere, a scomodare. Non so,
forse ci ripenserò. Ma dubito che cambierò idea. Nel dubbio:
vaffanculo, David, non mi chiamare più.
LA FRASE: quella del fungo tra le dita dei piedi che dice alla suora barbuda di sparare al ricco, dai, è ovvio, staremo mica a discutere?
SCONSIGLIATISSIMO: a chiunque non soffra di insonnia terminale, e non abbia un feticcio per le invasioni anali.
GIUDIZIO: KKKK
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