sabato 4 febbraio 2012

A.C.A.B. - Cobra e i suoi fradelli

Bastava accontentarsi del trailer. Quello in cui Pierfrancesco Favino, con pizzetto improbabile e sguardo allucinato, cerca invano una postura credibile, mentre racconta al microfono, davanti a un magistrato, il duro lavoro del celerino: “… in quei momenti c’hai… il cuore che te bbatte forte… l’adrenaliiina… che sale… a mille… un senti gnente… c’hai solo i tuoi fradelli (pausa teatrale stile caduta in un burrone) … accanto. Solo sui tuoi fradelli puoi contare”. Ma dopo una scena così, viene inevitabilmente voglia di verificare se fosse solo un abbaglio, un’inspiegabile bravata per lanciare (?) il film o se la sequenza, invece, esista davvero. Se in fase di montaggio non sia stata provvidenzialmente tagliata.
Beh, esiste. E ve la sciroppate tutta, alternata a immagini di guerriglia della più varia risma (stadi, sfollamenti e sfratti) e Favino, disastrosamente fuori parte, a patire, passato in un amen dai canonici ruoli introspettivi ad uno introspettito, smarrito, imbarazzato. Egli è l’Ass.te Cobra, protagonista di "A.C.A.B." (acronimo per All Cops Are Bastard – lasciate perdere Moby Dick, non solo per via dell’acca in più), esordio al cinema di Stefano Sollima, spaccato, anzi: frantumato dell’ordinaria esistenza degli appartenenti alla Celere, glorioso reparto della Polizia italica.
Ora, non per dire, ma come ci avvertono i titoli di coda – storti quanto quelli di testa: o una scelta stilistica o, più verosimilmente, il risultato di una colluttazione tra i tecnici preposti – quest’opera è stata ritenuta d’interesse nazionale e ha meritato i finanziamenti pubblici. Non si sa quale inattuale funzionario abbia avuto la pensata, ma si tratta di un raro caso in cui lo Stato propaganda una versione sconsolante di se stesso, a tutti i livelli. I politici, vabè, sono i classici burocrati imbelli, ma i poliziotti, almeno quelli descritti, sono in realtà una manica di facinorosi interessati soltanto a menare le mani, con o senza uniforme (la giustizia è comunque sommaria, dunque non sempre ci si può ricordare dell’abito), che non vedono l’ora di avere un pretesto per riunirsi e manganellare il sovversivo di turno.
Cadono sotto la scure di Cobra & co. (degli altri fradelli parleremo tra poco) tifosi violenti, xenofobi dell’ultim’ora, vecchi testardi, mogli separate, intere comunità Rom, bande albanesi, perdigiorno rumeni, prostitute africane, eccetera eccetera eccetera. Non c’è differenza tra casa e lavoro: ad esempio Mazinga (uno dei personaggi si chiama Mazinga), una volta tornato alla magione dopo la quotidiana dose di ultraviolenza in divisa, si rilassa prendendosi a male parole col figlio adolescente, una sorta di fascistello post-litteram – ci saremmo aspettati quantomeno un aderente ai centri sociali occupati, si vede che la società sta cambiando – che detesta la polizia in quanto, par di capire, non sufficientemente sterminatrice di immigrati. Se a questo aggiungete che il robotico ruolo è coperto da Marco Giallini, il cui repertorio facciale è esaurito dalla monoespressione “sole in faccia” (altro che Eastwood, qui non serve nemmeno il cappello), capite quanto indistinta sia la faccenda.
D’altro canto è così anche per gli altri componenti della crew: Negro (interpretato da Nigro) è uno psicopatico in perenne sovreccitazione, che dopo la separazione dalla moglie si gioca il permesso di visitare la prole – una bimba che, strano a dirsi, non trova divertentissimo passare il tempo col padre – dimenticando la figlia in caserma per prendere a spintoni qualche ladruncolo dell’Est, reo di aver insozzato un parco periferico. Si sa, le tentazioni. Meglio di tutti è però Carletto, il rimosso, un gentiluomo che ha spaccato un paio di crani per vendicarsi di una lesione al timpano durante un sommovimento in curva nord ed è stato perciò piazzato in garitta, a rimuginare sulle tante occasioni sprecate per picchiare ufficialmente qualcuno.
A questo punto direte: e la storia? Mah, in teoria sarebbe quella del novizio Adriano, che approda alla Celere dei suddetti eroi e viene iniziato al culto della fradellanza con modi urbani e di grande civiltà: rinchiuso in un furgone in compagnia di un lacrimogeno a pieno regime. Peraltro, si tratta dell’unico personaggio esplorabile: amico di sbandati che odiano gli sbirri, pervaso da risentimento sociale (la madre sta per essere sbattuta sul marciapiede e ha la casa sostitutiva occupata, guarda caso, da immigrati senza permesso), ma abbastanza ingenuo per conservare un minimo senso della legalità. In realtà anche lui non riesce a resistere a sbriciolare il naso del passeggero di un treno solo perché, alla richiesta di alzarsi, ha avuto l’ardire di ribattere che era in possesso di regolare biglietto.
La sostanza, in ogni caso, è che, saturo degli innumeri episodi di violenza gratuita, il celerino acquisito delerà alla magistratura una spedizione punitiva (i.e. aggressione aggravata) dei fradelli in borghese, rei di avere gonfiato come zampogne i presunti autori dell’accoltellamento - e conseguente, perenne, zoppia - di Mazinga, per via di una diversità di vedute dopo l’incontro di calcio Roma-Napoli. Ciò gli causerà la riprovazione di tutto il corpo di polizia – che quindi, si evince, trova perfettamente leciti e giustificati i metodi da macellaio seguiti dai protagonisti – e lo indurrà ad abbandonare il reparto, nonostante sia quello “che paga mejo”.

Note a margine:

- Memorabile la gestione della sceneggiatura: dopo aver raccontato con dovizia di dettagli, e di pugni, le vite dei fradelli, gli autori capiscono che, per dare una svolta al tutto, bisogna citare i fatti di cronaca (è pur sempre un film italiano). Seguono quindi: caso Raciti – e conseguente concione di Savino in lacrime: andiamo tutti al Viminale – caso Reggiani – e conseguente devastazione del campo Rom, con critiche sociali all’inanità della pula e raid antirumeno serale al supermarket, per compensare – caso Sandri – e conseguente protesta di Savino: paghiamo tutti per l’errore di uno, mandatemi dei rinforzi. Su tutto, pesa l’ombra della scuola Diaz durante il G8 di Genova, dove, parole assolate di Giallini, c’è stata “macelleria messicana”. E peccato sia saltata fuori la cosa, dice il rimosso, se no il paese poteva cambiare: come, non è dato capire. Forse una bella guerra civile;
- Di grande impatto la scena dei tafferugli fuori dallo stadio: per cinque minuti, forse per indecisione registica, si fronteggiano tre gruppi (uno è la Celere, gli altri due sono rivoltosi) senza sapere evidentemente come muoversi. Non è teatro off, ma semplice problema recitativo: i primi sassi che partono hanno la convinzione e la parabola delle palline da ping-pong per centrare il pesce rosso al luna park;
- Generose le riprese degli sputi: quasi nessuno se ne fa mancare uno, purché a tutto schermo. Il clou, peccato, ce lo giochiamo all’inizio, con Favino che sorseggia una birra in terrazza e vorrebbe espettorare sulla schiamazzante marmaglia sottostante. Ne viene un filamento in primissimo piano, assai drammatico, risucchiato prima che inneschi l’incidente diplomatico. Questo è cinema;
- Inspiegabile l’esito del processo a Cobra, citato all’inizio. Imputato per lesioni dopo aver delicatamente appoggiato il proprio casco (fra l’altro, di tre taglie più grande: una specie di mongolfiera) sugli incisivi di tale Sartoni, polverizzandone gran parte, viene assolto nonostante sia chiaramente reo confesso e privo di qualsivoglia attenuante. Beh, salvo il fatto che, negli scontri allo stadio, teatro della vicenda, hai “l’adrenaliiina… che sale…”. Vabè, avete capito;
- Orribile la sequenza successiva all’assoluzione. Savino balla in modo goffo e scomposto in un corridoio, con musica a tutto volume e fradelli in giubilo. Tuttora incerto se si tratti di una scena o di una pausa nella lavorazione;
- Potente il finale: l’azzoppato Mazinga, che nella spedizione punitiva di cui sopra per poco non bastonava il figlio, amico dei suoi – sempre presunti – accoltellatori, va a dare manforte ai compagni per gestire meglio la rappresaglia post-Sandri. Si accorge che il piazzale della resa dei conti è intitolato a Diaz. Come a Genova. Il destino. Ed è lì che Cobra, ballando nel casco, profferirà in crescendo: “Eccoli, eccoli, eccoli”. Il riferimento, per fortuna, è ai titoli di coda.
LA SCHEDA
A.C.A.B. (All Cops Are Bastard)
La frase: Naturalmente "l'adrenaliiina... che sale"
Sconsigliatissimo: a chi pensa che il corpo di polizia non sia il distaccamento segreto di un gruppo paramilitare.
Giudizio: KKKK

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il peggior film degli ultimi venti o trenta anni. Battuto in bruttezza per trama e contenuti, credo di poter affermare, solo da "trappola in alto mare". Starring Erika Eleniak assieme all'inarrivabile Steven Seagal.