venerdì 20 giugno 2008

ONORA IL PADRE E LA MADRE - OVVERO "LUMET LUMET PERCHE' NON SEI PIU' LUMET?"

Sidney Lumet ha, durante la propria lunga carriera, prodotto film memorabili (da La Parola ai Giurati a Quel Pomeriggio di un Giorno da Cani). Non vogliamo insistere qui sulla convenienza del ritirarsi all'apice del successo, della qualità del proprio lavoro. Tuttavia, a volte, risulta inevitabile chiedersi cosa abbia spinto un uomo tanto lodevole a non scegliere un buen retiro bensì ad infliggere a se stesso, alla propria carriera, infine pure a noi una tale ingiustizia. Trattasi di debiti? Debiti di gioco? Se la prontezza mentale del fu maestro è quella denunciata da quest'opera, consigliamo affettuosamente di non tentare alcunchè di più rischioso o frenetico di un Totip - già un tresette tra amici potrebbe avere esiti disastrosi.

Vorremmo tediarvi con la trama - e, statene certi, non sarebbe piacevole. Disgraziatamente la messa in scena è peggiore. E, inganno supremo, il primo tempo potrebbe lasciar qualche speranza residua. Ma il secondo vi macina inesorabilmente le gonadi, sfruttando tutte le più letali armi del caso: lentezza, macchinosità, pretenziosità. E ancora: mancanza di pathos, ripetitività, prevedibilità. Sentitevi liberi di proseguire l'elenco, a piacimento. Non commettete però l'errore di volerlo usare come sonnifero: fallisce anche in ciò, e vi rimarrà solo un carico di noia e di pesantezza sufficiente fino all'età pensionabile (Sidney, leggi tra le righe: è ora!).

Tanto per replicare ad ogni immaginabile motivo di interesse:
  • potreste voler apprezzare le doti attoriali di Seymour Hoffman, ma finirete piuttosto con l'ammirarne le cadenti carni (natiche in primis) in una scena di amplesso, e col domandarvi perchè abbia accettato una parte che, pur sulla carta (lì e soltanto lì) potenzialmente interessante, evidentemente lo mortifica nella pratica;
  • potreste voler gustare la piacevolezza estetica e recitativa di Marisa Tomei, ma i nudi (lodevoli!) non bastano a dare un senso a due ore di sopportazione, e tutto sommato potete benissimo scaricarveli da internet - sulla parte tacciamo per eccesso di bontà;
  • potreste voler rimirare il giovin (ancora? ma crescere, no?) Ethan Hawke, ma sinceramente il belloccio si aggira per il set perennemente con espressione un po' così, a mezz'asta (domanda: quante mosche ingurgita, costui, nella giornata media, girovagando con la bocca semiaperta in catatonica contemplazione del nulla?), ed il piagnucoloso personaggio ripugnerebbe anche la più veemente delle sue fan;
  • potreste infine voler pagare un tributo ad Albert Finney, che ha in effetti la classe che ha, ma tra Allen, Burton e Lumet sta partecipando a tanti funerali di carriere altrui da far pensare che forse sarebbe l'ora tumulasse la propria.

Se state ancora pensando che ne valga la pena perchè "è un film di Lumet" ascoltate dei fessi che di tal errore hanno pagato (non solo alla cassa) le conseguenze: non ne vale.

Onde sollazzarvi un poco (chè a noi questi ricordi ispirano tristezza, e noia, tanta noia...) vi raccontiamo brevemente (Sidney, di nuovo, capta il messaggio: brevemente) la vicenda:
due fratelli portano avanti le proprie vitacce come possono. Il maggiore (e grasso) ha un lavoro da grana, ma non abbastanza per le sue ambizioni, ergo maneggia denaro in modo illecito. Nel tempo libero, porta la moglie a Rio per ritrovar la voglia di scopar e si reca da una snobissima checca per bucherellarsi le vene, il ragazzaccio. Il minore è un perdente, in ogni senso - non ci chiedete di parlarne troppo. Basti sapere che si scopano la stessa donna, solo che uno (sovrappeso) la mantiene pure, mentre l'altro (spiantato) non potrebbe. I due, uniti dal bisogno di contante (per sesso & droga e sesso & debiti, rispettivamente), optano per la soluzione che tutti i figli amorevoli di questo mondo sceglierebbero: rapinare la gioielleria degli anziani genitori (per inciso, un plauso ai distributori italiani per la scelta del titolo - mai correre il rischio che il film ci sorprenda in qualche modo, sputtaniamo tutto subito!). Indovinate? Qualcosa va storto, e la vecchia madre ci lascia le penne. Di qui, un'escalation inesorabilmente lenta e prevedibile di fattacci, che l'autore ci propina in ordine cronologico sparso (ohhhh, che espediente! Tarantino salvaci tu!): minacce, estorsioni, morti ammazzati, rivelazioni tragiche. Il ciccione è un merda (il piano è suo, e poi si droga, e poi è grasso quindi come potrebbe esser un buono?), ma vien fuori che da piccolo l'han poco amato, ed allora sì che la psicologia si spreca. Quell'altro è un fallito, un piagnone, un perdente. Il padre è un maniaco giustizialista, ingrifato all'idea di vendicare costi quel che costi l'amata perduta. La madre, probabilmente l'unica decente della famiglia, è andata. Il resto dei personaggi è più piatto dello schermo sul quale, ahinoi, prendono vita (si fa per dire). Sangue ed incazzature il giusto. Servire freddo, trangugiare senza gustare - non ci sono alternative.

LA SCHEDA

ONORA IL PADRE E LA MADRE

In una frase: "però, figa la Tomei" ovvero, per tutto il resto del film "si, ma che palle!"

Sconsigliatissimo: a chi amava Lumet e non vorrebbe smettere, a chi ammira uno qualsiasi dei protagonisti, a chi non ha troppi peccati da espiare - meglio i lavori sociali.

Giudizio: KKK (dovrebbe esser peggio, ma è troppo palloso anche per i Kevin)

martedì 17 giugno 2008

Un grande ritorno - io! E (John) RAMBO...

A 20 anni di distanza dalla sua ultima apparizione sul grande schermo, torna per la letizia di grandi e piccini l'eroe degli eroi, il reduce dei reduci, la mascella ed il labbro più prominenti del cinema di guerra americano - John Rambo è di nuovo tra noi! Venghino siòre e siòri, venghino.

La vicenda (??) si svolge stavolta in una piovosissima ed assai violenta Birmania (avete notato come la location delle avventure di Johnny sia vieppiù decadente? dalla provincia americana ad un sempre valido ritorno al Vietnam ad un Afghanistan ante guerra contro il male by Bush e soci - sarà mica profetico, lo Sly? - a questa sozzura di paese). Stallone ci informa, in fase di presentazione dell'opera (???), che intendeva sensibilizzare il grande pubblico alle guerre invisibili, nascoste, poco presentate dai media. Nobile intento vivificato da una messa in scena indubbiamente all'altezza.

In sintesi: un gruppo di semi-fanatici religiosi si reca laggiù a scopi umanitari, senza ben capire che rimarrà incastrato in una fetente guerra intestina (si informassero prima leggendo la Lonely Planet, come fa il Pentagono). Trovano sulla propria strada un innocente barcaiolo a nome John Rambo, ritiratosi da precedenti attività per godersi la pace del clima fluviale Birmano (in mezzo a pioggia densa come piscio - che non si arresta tranne che nelle scene di massacro, ove giustamente non si vuole rovinare la visuale - soldati inutilmente feroci e ferocemente inutili, lotte mortali tra serpenti et cetera - de gustibus...). Ritengono, i fessi, di poter compiere la propria missione da sè, e si intestardiscono a convincere il pacifico (come un bovino, stando all'espressione) John a condurli in barca alla loro meta. La convinzione ha luogo a mezzo di una avvenente fanatica che, a seguito di intenso scambio di sguardi tra i propri occhioni ed il labbro inferiore di Rambo (che oramai pesa 30 kg, vive di vita propria e merita riconoscimento a parte nei titoli di coda), ne vince le reticenze e, supponiamo, il cuore. Egli dunque li conduce via fiume al luogo desiato, tour ameno a prezzi modici che include veloce dimostrazione di arte del massacro del guerrigliero autoctono. Exeunt i fessi, se ne torna a casa Rambo, entrano in scena i suoi colleghi macellai: nella fattispecie, un gruppetto di assassini stracciabudella (altrui) ingaggiati da un altro prete americano onde recuperare il precedente gruppo di, ovviamente a questo punto, dispersi-rapiti-torturati. Nuovamente convinto dal ricordo (serbato vivissimo dal proprio labbro) dell'avvenente maniaca di cui sopra, il John si porta a spasso per il fiume questo manipolo di "duri" (che non risparmiano battute sagaci, sullo stampo di "e poi mandano un Diavolo - indicando sè stesso - a fare il lavoro di Dio. Ironico, eh?") e, giunto a destinazione, vorrebbe unirsi a loro nel tentativo di recupero - il Soldato Ryan ha fatto scuola, sembra. Schernito dai bruti ("tornatene a casa, barcaiolo!") John lascia la custodia del suo rottame galleggiante ad un giovane del luogo (uno dei pochissimi autoctoni a non lasciarci la pellaccia) e si imbosca onde portare avanti la missione a modo proprio. Naturalmente ciò si rivela il fattore decisivo. Quando la marmaglia di soldatacci di ventura si ritrova alle strette, ecco intervenire Lui: al culmine di una scena (esilarante) in cui i ferocissimi (!!) Birm-cong si sollazzano spargendo mine in una grossa pozza d'acqua e costringendo dei prigionieri a farsi di corsa delle vasche nella medesima fino ad esaurimento del materiale umano, i guerriglieri intervengono, finiscono quasi sodomizzati dalle preponderanti (ma dove?) truppe locali, si vedono infine salvati da Robin Hood-Rambo che, armato di arco e frecce, stermina i cattivi come ai giorni belli. Mirabile il tiro col quale trafigge al collo (da qualche centinaio di metri, per gradire) uno dei malcapitati, facendolo piroettare nell'aere ed atterrare 'n coppa (scusate il napoletanismo) ad una delle mine dallo stesso piazzata poc'anzi. Se non è giustizia poetica questa.

Segue espletamento della missione. Non vorremmo rovinarvi il godimento rivelando troppi dettagli, lasciateci solo dire che la quantità di morti ammazzati, sbudellati, scarnificati, tradotti in ragù di Birmano dal tiro ravvicinatissimo di una mitragliatrice che spara cartucce grosse come piccioni (e meno male che John è coperto da una sorta di parabrezza, altrimenti il conto in lavanderia sarebbe esorbitante) ed insomma variamente sparpagliati per la jungla è assolutamente strabiliante. Una festa per gli occhi. Fuochi d'artificio. Altro che Hana-Bi, Kitano fatti da parte. Chicche di passaggio: il capo dei malvagi è un pederasta ripugnante, al quale però il Rambo riserva una morte relativamente più clemente - lo sgozza col suo machete da passeggio (sarà mica diventato politically correct, lo Sly?). Finale in gloria: ispiratissimo dalla giovine pulzella, il John che fa, finalmente copula dopo 4 film ed una quantità di morti ammazzati che nemmeno il colera? No! Se ne torna negli USA, a vivere in miseria, ma con dignità (non ci crede nessuno). Rimane aperto il concorso per stabilire il nome del parente da cui si reca - sulla ineffabile cassetta della posta prospiciente l'ineffabilissima fattoria sgarrupata svetta la scritta "R.Rambo". Ricky? Rapax? Rihanna? Rognone? Ai posteri, come sempre.

Note a margine (del nulla): controllando su www.imdb.com se mi sfuggisse qualche dettaglio, mi avvedo di due cose.

1- stando ai fan americani la location è Burma, Thailandia. Resto dell'idea di aver sentito chiaramente Birmania. O forse l'assonanza mi ha distratto. O forse han tradotto male in Italiano. O forse potrebbe non fregarcene di meno, dato che il Paese (checcè ne dicesse Sylvestrone) conta meno di un kaiser per il nostro Eroe - sempre musi gialli massacrati sono, dopotutto...

2- il voto medio dei "cinefili" (mah) americani a questo film (mah) è 7.5/10. Sarò io che son prevenuto, pare.

LA SCHEDA

JOHN RAMBO

In una frase: "non sono venuto a salvare Rambo da voi, ma voi da Lui" (si, il primo era il migliore - la frase, profetica in senso cinematografico)

Sconsigliatissimo: non saprei... siete pacifisti? siete religiosi? siete soldati di ventura? siete Thailandesi (o Birmani, insisto)? siete amanti del cinema? sapete almeno leggere???

Giudizio: KKKKk (perchè no, i cinque Kevin non li dò...)

lunedì 16 giugno 2008

E venne il giorno

Sì, lo ammettiamo. L'abbiamo fatto. Anche se ci eravamo ripromessi di non tornare mai più a vedere un film di M. Night Shyamalan (una bambola, ovviamente indemoniata, a chi indovina la pronuncia del cognome). Avevamo abdicato dai tempi di "The Village", ma eravamo incazzati sin dai gloriosi fasti di "Unbreakable" (chiunque non detesti la pettinatura di Samuel L. Jackson in quel film ha qualcosa da farsi perdonare). E non avevamo visto le imprese di "Signs" e "Lady in the water". Ci erano bastate le critiche degli amici.
Ma l'abbiamo fatto. Ancora. Inconsciamente speranzosi che potesse ripetersi un "Sesto senso", qualcosa di attinente al noir, o mal che vada al thriller. Insomma, c'era pur sempre l'Apocalisse di mezzo, anche se il manifesto, checché ne dica Night eccetera, è identico all'idea di fondo di "The Stand", uno di quei libri scritti da Stephen King quando non era così milionario.
E ci siamo cascati. Un'altra volta. Presi all'amo dell'ennesimo pretesto, le morti senza motivo che al cinema sono un crimine, la fascinazione per l'assurdo a dispetto della storia, dei personaggi. Qualcuno spieghi a Night la sceneggiatura, possibilmente con l'ausilio di qualche spettro rompiglioni e un po'di vento, così si convince più facilmente, visto che - citando un'ottima definizione - "è un fissato del paranormale".
Orbene, siamo buoni oggi, dunque ve lo diciamo subito. Se v'interessa il film non leggete oltre, perché vi spiattelliamo la trama (?), il finto finale, e la mancanza di senso del tutto. Con insulti acclusi, come si conviene.
Siete ancora qui? Allora proseguiamo. La storia inizia con qualche pugno ben assestato. A Central Park, la gente che passeggia improvvisamente si ferma all'unisono. Nell'immobilità, una ragazza su una panchina si accorge che l'amica lettrice ragiona all'indietro. Surrealismo già visto in "Time" di Alessandro Maggia, verificate se non conoscete, che condensava il tutto in dieci minuti, essendo un corto di genere. Ma qui c'è un'ora e mezza almeno, dunque via col sangue.
La lettrice suddetta si infilza con una spilla per capelli, mentre l'amica si sta già orripilando che tutto si è bloccato senza motivo, tutti hanno perso la testa.
Capiremo subito dopo che le persone non si limitano ad arrestarsi. Si suicidano. Ognuno nei modi più acconci alla propria professione, il che è un'ode al grottesco che, lo confessiamo, ci ha parecchio divertito.
In ordine di apparizione:
- Gli operai si infortunano sul lavoro, gettandosi dalle impalcature;
- I poliziotti si sparano un colpo con la pistola d'ordinanza (poi, bella fumante, sfruttata anche dai comuni cittadini: del resto non è questo il senso di "to protect and to serve"?);
- I marines si fucilano decantando le lodi della propria arma (allo stesso modo di "Full metal jacket": Stan, scusaci tanto);
- Le vecchie bigotte si sfracellano la testa sui vetri della propria magione, a suon di preghiere e stregoneschi deliri;
- Gli altri procedono in ordine sparso: c'è chi sta fuggendo in macchina e si schianta con rincorsa contro un albero, chi, più piccino, dice alla mamma terrorizzata parole insensate al cellulare prima di tuffarsi da una finestra, chi si sdraia sull'erba saggiando di persona le virtù di una megafalciatrice.
In tutto questo, una sola scena degna di nota: gli impiccati sul vialetto di una cittadina di provincia, esposti all'improvviso allo sguardo pietrificato di alcuni fuggiaschi. Ma varrebbe di più se non fosse un saccheggio del "Sesto senso", almeno nelle atmosfere.
Per il resto. Una comica esibizione di Mark Wahlberg, nel film un didascalico professore di scienze, che sfodera immancabilmente la stessa espressione perplessa, sia che debba salvarsi da un pericolo imminente, sia che gli chiedano se gli piacciono gli hot dog. Insieme a lui, un'inquietante ragazza dalle pupille dilatate (non ricordiamo il nome dell'attrice, non chiedetecelo, ci fa paura) e un John Leguizamo totalmente fuori parte, passato dai balli luccicanti di Spike Lee alla desolazione della campagna epidemica.
Ci chiederete: e la trama? Mah. La gente prende a suicidarsi, tutto qua. Scappa (non si sa dove), finché non le arriva la tentazione definitiva. Roba deprimente, benché, per fortuna, senza troppa musica. La causa? Scartati i terroristi e le relative armi chimiche, la soluzione starebbe nelle piante, plurincazzate col genere umano, che a suon di vento sbarellano i terrestri grazie a una prodigiosa tossina emessa all'uopo.
Ciò, ovviamente, non spiega perché i protagonisti (Wahlberg e signora, più bambina degli amici resa orfana dai terribili eventi) si salvino, perché la sequela di morti autoindotte si arresti all'improvviso, perché, ancora, il tutto ricominci in altra location, a Parigi, con postilla degna dell'horror classico, purtroppo usata a sproposito, mancando una storia a giustificarla.
Nota a margine:
Non perdetevi due autentiche prodezze registiche:
1- Mark Wahlberg che parla con una pianta di plastica, pura pornografia nel senso già discusso in "Blueberry Nights";
2- Una terrificante vecchiaccia avulsa dal mondo che tiene una bambola orrenda sul letto. Mero inserto horror, ovviamente del tutto inutile. Good Night, Shyamalan.
LA SCHEDA
E venne il giorno
In una frase: "questo film l'ha prodotto Al Gore" (oppure, per i meno pacifici: "incendiamo subito la foresta Amazzonica")
Sconsigliatissimo:
a chiunque cerchi una trama, un senso, una storia. Anzi, parafrasando Vasco, un senso a questa storia.
Giudizio:
KKKk