sabato 2 gennaio 2010

2012

Ve lo diciamo subito: se la presunta profezia dei Maya sulla fine del mondo prossima ventura – 21 dicembre 2012 – è vera, abbiamo solo una richiesta, da bravi condannati a morte: dateci una sceneggiatura migliore. Perché quella del film che dovrebbe rappresentarla, l’omonimo "2012", è a tal punto costellata di banalità e faciloneria da far pensare che l’apocalisse sia l’inevitabile castigo per la stupidità dei dialoghi. L’opera in questione, come noto, è il terzo (e si spera ultimo) disastro firmato Roland Emmerich, dopo gli alieni presi a pugni da Will Smith in "Independence day" e i ghiacci a profusione de "L’alba del giorno dopo". Qui il pretesto è più semplice: niente mostri o sconquassi climatici, ma un vecchio e sano terremoto, avveramento della predizione originaria (cui il regista, molto interessato, dedica sì e no i titoli di testa), con annessa disquisizione scientifica sulle modalità del tutto: i neutrini impazziti che, veicolati da un capriccio del sole, squagliano la crosta terrestre, inghiottendo continenti, città e civiltà senza distinzione.
In verità, ci saremmo accontentati di un normale Big One, magari con epicentro a Hollywood. Sarebbe stato più coerente, dato il consueto canovaccio di fuoco, paurosi sommovimenti tellurici e successive onde anomale, in cui naufraga pure la potenziale credibilità (?) della trama. I governi del mondo, infatti, sono avvertiti già da qualche anno della catastrofe, tant’è che in gran segreto preparano enormi arche (Noè non c’entra, non sa usare il computer) in cui salvare quel che resterà dell’umanità. Per salirci, ed è qui la novità, bisogna disporre di specifiche attitudini: potere politico, soldi a palate, relazioni importanti. Qualità, come si intuisce, che renderanno eletta la nuova specie. Trattandosi di produzione americana, peraltro, il rigurgito idealista è dietro l’angolo: il protagonista, un provvido scienziato tenuto all’oscuro dell’inghippo dalle alte sfere, riuscirà sul più brutto a far ospitare a bordo anche l’ultimo drappello superstite di squattrinati, commuovendo i capi di stato con un pistolotto sulla fratellanza universale.
Nell'impresa, come non bastasse, ci si gioca pure l'unico personaggio valido: un ambientalista con turbe millenariste, interpretato con preoccupante partecipazione da Woody Harrelson, che trasmette in diretta da un’improvvisata stazione-radio di Yellowstone i suoi eccitanti racconti sulla fine del mondo (compresa la diretta della propria). Sarà lui a svegliare la mente dell’eroe per caso di turno, un imbolsito John Cusack nel ruolo di uno scrittore di fantascienza fallito, divorziato e inviso ai figli (tutti presi dal nuovo compagno della madre), che fa l’autista per tirare a campare. Parte perfetta, fra l'altro, per Brendan Fraser, ci fossero stati i pupazzetti, o Nicholas Cage, ci fossero stati i soldi.
Il nostro salverà la famiglia guidando l’auto in mezzo alle strade squassate dai crateri, ricevendo un aiuto decisivo proprio dal successore nel letto coniugale, provetto pilota di aerei da diporto. Quasi un peccato, quindi, che quest'ultimo debba soccombere, come gli altri personaggi positivi di contorno: il bonario padre del protagonista, cantante su una nave, il suo collega ricercatore, che per primo scopre le alterazioni solari, e persino il presidente degli Stati Uniti, un Danny Glover particolarmente valoroso, credente e propositivo, che preferisce restare con i connazionali anziché imbarcarsi per la sopravvivenza. Molto somigliante a Obama, o all’idea che si ha di lui, non fosse che la stessa parte era stata assegnata a Morgan Freeman qualche anno prima nell’unico disaster-movie che si ponga qualche interrogativo, ossia "Deep Impact".
Palesemente inutile, poi, la melassa finale: il ricercatore che conquista l’amore della figlia di Glover, Cusack che si riprende la famiglia, sfruttando la tragica scomparsa del rivale in amore. Lo scenario, in omaggio all’atmosfera da Legoland che domina l’insieme, è un mondo capovolto, dove i continenti sono stati sommersi, squarciati o spostati, e si ricomincia a contare gli anni da zero. Solo che al posto della croce c’è un sacchetto di popcorn.

Note a margine:

- Emblematica la sequenza d’apertura, ambientata in un torrido laboratorio nel sottosuolo indiano. Un attempato scienziato, stremato dalla calura, si compiace a tutto schermo di un pediluvio di acqua gelida. Un po’ di pornografia non guasta mai;
- Ottima la figura del datore di lavoro di Cusack, un imprenditore (e/o mafioso) russo con due grassi e intollerabili marmocchi al seguito, che coglionano il povero autista perché, a differenza sua, abbastanza ricchi da salvarsi. In realtà alla fine rischieranno di rimanere a piedi, issati a bordo dal solo sacrificio del padre. Fortuna immeritata;
- Imponderabili le doti nell'apnea dello scrittore. Dopo aver incagliato l'arca per propria dabbenaggine, sblocca l'imbarcazione (e le sorti del mondo) restando sott'acqua per circa mezz'ora. Roba da far impallidire Pellizzari;
- Encomiabile il trattamento riservato al capo di stato italiano, che sceglie, come l’omologo americano, di restare in patria a pregare. Finirà schiacciato, con pontefice e fedeli, dalla frana della cupola di S. Pietro, come dire che alla religione deve sempre darsi il giusto peso;
- Inaccettabile, invece, il pessimo gusto di crepare la Creazione di Adamo della Cappella Sistina, proprio dove il dito di Dio sta per toccare quello dell’uomo. Più che iconoclastia, è oscenità dozzinale;
- Geniale, se non altro, il delirante filmino complottista di Harrelson: un bric-a-brac molto pop in cui Einstein fa la linguaccia e la storia dell'umanità è ridotta a qualche scarabocchio allegorico. A ben vedere, l'unico momento di animazione del film.

LA SCHEDA

2012

In una frase: “sento che qualcosa ci sta separando”. Segue cratere.
Sconsigliatissimo: a chi pensa che dietro agli effetti (più o meno speciali) debba pur sempre esserci una causa. Cioè una sceneggiatura.
Giudizio: KKKK