venerdì 7 settembre 2012

Sinapupunan - Film in concorso (?)

"E adesso come facciamo? Usiamo i remi?"
"Credo di sì"
"Come stai?"
"Sono un po' stanco"
"Non abbiamo pescato nulla"
Come volevasi recensire (almeno da parte nostra, l'autore del preview si è pavidamente ritirato, addirittura plaudendo a fine proiezione), "Sinapupunan" non delude le attese. Trattasi infatti di onesto documentario su usi e costumi filippini, con profluvio di scenari palafitticoli, paglia bollita, piedi nudi, pesca in alto mare e matrimoni colorati, accompagnati da un discreto melting pot linguistico (sentiamo parlare spagnolo e inglese, oltre ai vocalizzi autoctoni) e religioso (tra i tetti in lamiera, spuntano rudimentali chiese e moschee). In mezzo, ci sarebbe anche una storia: una donna che, per dare un figlio al proprio marito, non potendo riuscirci per vie naturali, accetta che questi sposi un'indigena (è ammessa la poligamia) al solo scopo di concepirne uno. L'unico problema è che la dote costa, e servono espedienti d'ogni sorta per rimpinguare lo scarno patrimonio e raggranellare i pesos necessari. Nel frattempo, la quotidianità dello scenografico villaggio anfibio è tutt'altro che garantita: durante una battuta di pesca, il protagonista finisce, suo malgrado, nel bel mezzo di una sparatoria tra pirati (venendo colpito e poi curato con foglione officinale), e a intervalli irregolari torme di militari irrompono, per motivi sconosciuti, nel precario mercatino del paese, ribaltando banchetti e sporte colme di prodotti tipici (la manioca va alla grande). Thy Womb, il titolo, rimanda al ventre da cui tutto parte (il film si apre con un primo piano vaginale su un parto cefalico) e a cui tutto ritorna (nella scena conclusiva la protagonista, una levatrice, porge il neonato alla ragazza sposata ad hoc dal marito). C'è tuttavia - spoiler - un triste retroscena: per clausola matrimoniale, taciuta alla prima moglie, l'uomo dovrà abbandonarla per accasarsi con la giovane madre del figlio. Il conflitto seguente è solo immaginato, suggerito da un malinconico volo di gabbiani. La storia, comunque, non dura più di un quarto d'ora: il resto è un pregevole corso accelerato di etnologia che ricorda, per sguardo e andamento, i vecchi film di Flaherty. E' piaciuto ai più - pare - per i suoi esotismi assortiti, e in effetti come Lonely Planet è efficace. Sarebbe però interessante capire cosa ci facesse in concorso.

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