Ne hanno parlato in tanti, forse tutti.
Ne hanno parlato molto, diffusamente.
Non ne hanno parlato abbastanza, per me.
Una porta di ascensore si apre tra i due protagonisti, un uomo ed una donna. E' un momento di grande tensione emotiva, di impossibilità comunicativa tra loro, e l'impasse viene spezzata dall'arrivo di un ascensore, il ding! che accompagna l'apertura delle porte crea un nuovo ritmo narrativo, la luce vagamente attenuata all'interno e la presenza di un altro uomo ci portano in un altro ambiente. Il protagonista si rende immediatamente conto di dover proteggere la donna, di cui è innamorato, da un pericolo immediato ed enorme. Ma deve anche comunicare con lei, prima (assolutamente prima) di precipitarla in una realtà violenta che finora, benché le abbia segnato e sconvolto la vita, ella non ha mai dovuto guardare in faccia direttamente. Dunque, la scosta con un braccio, allontanandola dall'altro individuo, gira su se stesso e la bacia con decisione e tenerezza al contempo. Quando ciò accade, si innesca un ralenti (ma lieve, a non spezzare il ritmo bensì ad adeguarlo) e cambiano totalmente le luci del piccolo ambiente in cui la scena si svolge. Ed è sinestesia. Un film può solo parlare a due dei nostri sensi ma, e qui è dimostrato ai massimi livelli, può innescare in noi ogni tipo di sensazione. Se avete conosciuto lo sconfinato impatto psicofisico che su ciascuno di noi ha la vicinanza della persona amata e l'intensità di determinati momenti – se, insomma, siete mai stati innamorati – allora risulta impossibile non sentire caldo vedendo questa scena; meglio, vivendola. Vi sono momenti in cui, nella vita reale, le luci non si abbassano, l'inquadratura non si stringe su di noi, la musica non diventa essenziale e memorabile al contempo e lo scorrere del tempo non viene alterato – eppure sentiamo tutto ciò e molto altro. Le nostre percezioni della realtà divengono alterate, la nostra vita si fa finzione per meglio servire le emozioni. Qui, in questo bacio in un ascensore in Drive, è dimostrato (con uno stile degno dei classici) come il cinema sia capace di innescare lo stesso meccanismo, mettendo in scena la finzione che i nostri sentimenti producono: in sostanza si bypassa la vita per farsi vita. Per regalarci quella finzione che parla il linguaggio delle emozioni meglio del realismo.
Immediatamente dopo veniamo catapultati in un altro mondo: il tempo torna a scorrere, le luci vengono ripristinate e la scena prosegue in modo atroce, inondata di grande violenza fisica, di rabbia terribile. E poi si conclude con lo sguardo spaventato della protagonista, con il suo allontanarsi, quando si riaprono le porte, da chi l'ha amata e difesa e persa in quel breve tragitto.
Non ci sono parole, nel mentre, e poca musica. Da che si entra nell'ascensore al momento in cui la scena cambia di nuovo son passati poco più di 3 minuti. Stupefacenti.
In mille hanno parlato di Drive e della scena di cui sopra. Non sarà mai troppo, e forse davvero nemmeno abbastanza. E' l'apice di uno splendido film, e un grande momento di cinema – un manifesto di Cinema nel senso più vero e profondo, nel senso che definisce quest'arte rispetto a tutte le altre praticate dall'uomo, e ne esplicita il rapporto con l'uomo stesso, con la nostra logica ed i nostri sentimenti.
Il film, nella totalità, è assai riuscito. La sceneggiatura è capace di spiazzare e conquistare (memento: a volte bastano pochi tratti a scolpire indelebilmente i personaggi), la regia è eccellente, essenziale eppur mai banale, a volte sorprendente ma mai fuori posto. La scelta della colona sonora è sublime, a tratti, per la capacità di integrarla con la narrazione, con lo sviluppo delle personalità, con il processo di identificazione dello spettatore. Il cast è di grande livello, a partire dai ruoli di contorno (volti noti ed affidabilissimi come Perlman e Cranston accanto agli emergenti/neofamosi come Oscar Isaac e Christina Hendricks – su tutti bravissimo Albert Brooks nel non facile ruolo di un riluttante “cattivo”); i protagonisti sono perfetti, Gosling dotato di un magnetismo che gli permette di scolpire la propria figura per silenzi (uno dei temi dominanti di questa narrazione) e la Mulligan bellissima nelle mille fragilità che sa incarnare con credibilità totale.
I dettagli, infine, sono curatissimi. Si parte coi titoli di testa anni '80 e si continua con innumerevoli chicche, dagli abiti alle auto passando per degli stuzzicadenti destinati a rimanere nella memoria.
E' un film che va necessariamente visto, e che verosimilmente non ci stancheremo di tornare più volte a visitare. Peccato che, è probabile, non sempre accadrà in un cinema: certe emozioni sono troppo grandi per lo schermo di una televisione.
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