domenica 19 febbraio 2012

Al plurale (per farci perdonare il ritardo): film belli degli anni 2010 e (quasi) 2009

Rapida e ovvia spiegazione del titolo: vi dobbiamo dei suggerimenti per dei bei film, qualcosa che abbiamo amato al cinema negli anni passati. Per il 2010 il ritardo è già abissale, e cerchiamo di emendare in parte le nostre colpe proponendovi non uno, non due ma 3 diconsi 3 film. Alé! Il terzo, che forse non tutti conoscono, fu presentato ad innumerevoli festival a partire dai primi mesi del 2009 salvo poi trovare distribuzione americana nel novembre dello stesso anno, ed internazionale nel 2010. Ergo, entra in gioco – e al contempo ci regala un plurale anche per le date. Tre film non perfetti, sia chiaro. Ma se ne avete perso qualcuno, siamo qui per provocarvi alla visione.


  1. INCEPTION

Ovvero come essere scontati. Noi, nella scelta. Un film di enorme successo, ed era prevedibile visto il cast (a partire dalle star americane - Di Caprio – o europee – Cotillard -, proseguendo coi grandi vecchi Caine, Postlethwaite e Berenger e condendo il tutto con gli emergenti Gordon-Levitt, Hardy, Page e Murphy) e soprattutto visto il moviemaker dietro l'operazione: Nolan sa fare cinema a tutto tondo, dirige e scrive, sceneggiatura e regia vengono dalla stessa mente e si vede eccome. Nello specifico, pare, ha passato anni a creare e limare un meccanismo di mirabile precisione e discreta complessità – salvo poi, forse il punto debole del tutto, eccedere nello spiegare la struttura dei suoi sogni dentro ai sogni, fornendo ogni dettaglio minuziosamente, avendo cura di non lasciare nulla di oscuro. Lo spettacolo visivo è impressionante (e non solo per l'abbondanza di effetti speciali, l'immaginazione qui la fa davvero da padrona, soprattutto nelle fasi preliminari), l'ammirazione che una tale struttura narrativa desta è sincera ma si perde un po' del mistero, dell'esercizio di deduzione, della sorpresa. Ed il senso di vertigine di una trottola che non vuole saperne di cadere prima della dissolvenza in nero è un po' poco per restituirci tutto. E', insomma, un esercizio di stile di alto livello e sicuramente fa venir voglia di cinema. Per essere un capolavoro, forse, mancano un po' di emozioni realmente viscerali (ci prova, ma si sente l'artifizio).

  1. HOW TO TRAIN YOUR DRAGON (DRAGON TRAINER, IN ITALIANO...)

Ovvero come fare un cartoon digitale che è anche un gran film tout court. Perché, sì, è un cartone animato. E, per gli affezionati di Biancaneve ed i suoi nani animati a mano, ha la colpa imperdonabile di essere generato dal computer. Ma è un gran bel pezzo di cinema. La sceneggiatura è solida e la regia (rassegnarsi, tale è pure in questi casi) di prim'ordine – se lo stesso identico racconto fosse stato girato con attori e, per dire, cani invece che con bimbi e draghi in CGI sarebbero in molti di più a dire di un grande film, con echi di Jack London e chi più ne ha.

Anni fa, ricordo, lessi su uno dei maggiori quotidiani nazionali una recensione di Monsters, INC. (Monsters & Co in italiano, mah...) nella quale si sottolineava come la storia del legame, dell'affetto profondo che veniva a crearsi tra la bimba ed il mostro (d'aspetto, ma di cuore assai tenero e generoso) protagonisti del tutto fosse assai più profonda, intensa e reale di tanti cartoni giapponesi “con metafisica annessa” (Evangelion, anyone?). Basta poco, per avere il coraggio di dire che un cartoon, anche se non avete sette anni, può essere un gran bel film. Questo ha una trama semplice, e non poi tanto innovativa. Ma è molto ben fatto, un sacco divertente, e soprattutto vero. E se lo vedete, magari scoprite che in questi decenni siamo andati pure un po' oltre Bambi.

  1. PRECIOUS

Ovvero agli antipodi di Inception. Qui non c'è magniloquenza, nemmeno l'ombra: cast di stelle e sceneggiatura complessa e ricca di colpi di scena, effetti visivi poderosi e lancio in pompa magna, tutto questo ed altro potete scordarvelo. La storia è semplice, è il pezzo di una vita purtroppo comune. Gli attori principali sono per noi sconosciuti (su tutti si stagliano la protagonista Gabourey Sidibe e Mo'Nique), con poche celebrità rinchiuse in parti secondarie o camei (Mariah Carey e Lenny Kravitz, per gradire). La regia tende quasi al documentaristico (ed è tremendamente efficace), il parlato è quello di strada (e a momenti si fatica a seguire). Però non si potrebbero chiedere più emozioni reali e scuotimento di coscienze e di viscere. Il ritratto abbozzato (ma, ribadiamo, incisivo) di un'esistenza tra le molte che, tipicamente, scegliamo di ignorare – questo sguardo sulla vita cattiva, sui dolori (fisici e psicologici, in abbondanza) di una delle figlie abbandonate degli opulenti Stati Uniti (abbandonate a famiglia e quartiere, agli estranei come a se stesse, alle violenze sessuali con istigazione all'aborto come all'allontanamento dagli studi e del sogno di una vita migliore), e contestualmente sulle vite di chi la circonda – questo schiaffo che forse vorrebbe far aprire qualche occhio o forse solo essere onesto non si può, in ogni caso, ignorare. Fa male, e qualche volta si sospetta ci sia il ricatto morale dietro l'angolo. Ma non c'è buonismo (pregio non da poco) né metafisica fine a se stessa: a chi parla del nostro mondo, di noi in modo così diretto vale la pena prestare orecchio.

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