venerdì 3 febbraio 2012

Don’t be afraid of the dark – la vendetta del topino dei dentini (e del sottoscritto)!

Sono andato a vedere un horror. Di nuovo. Allora ci fai, direte. Ebbene, sì. E’ più che ovvio oramai che indulgo nel vizio del collega di propinare filmacci di terz’ordine al grido “è un horror, è un horror, a me l’horror piace” (e ci mancherebbe pure) con il solo, vile scopo di recensire.

Stavolta, però, c’è di più. C’è, infine, la vendetta. Non tanto degli schifosi rattacci vagamente ibridati con dei babbuini di cui dirò ampliamente in seguito; piuttosto, del sottoscritto autore. Dopo aver tollerato, in passato, recensioni di film passabili (nonché interminabili lamentele e sequele di rifiuti sdegnati) da parte del compare coautore nascosto dietro la sola, debole scusa di “a me questo non piace” è giunta l’ora che sia io a stroncare un horror che a lui aggrada, con la semplice motivazione che “mi va così”. Almeno, così pensavo. Una sana notte di riposo, invece, una serena riflessione ed il paragone mentale con alcuni film decenti visti in questi mesi mi hanno schiarito le idee: questo è una schifezza di film, ed ora vi dico perché.

L’inizio è promettente: un anziano e gracile signore (dotato di flebile vocina) abita, credo per risparmiare sulla luce, unicamente la cantina sozza e buia della magione di campagna di sua proprietà. Vi attira la cameriera, la fa scendere nell’oscurità ed inciampare (infido vecchiardo!) in un cavo teso sul penultimo scalino a scopo infortunistico, indi ne rimuove i denti davanti con l’uso di martello e scalpello – ma scusandosi. Indi offre i di lei ed i propri incisivi ad una canna fumaria, ricevendone in cambio risa di scherno ed un rapimento eterno. Fine intro, vai coi titoli di testa. E, purtroppo, vai col resto del film.

Flash-forward: nell’anno di(s)grazia 2012 una famigliola di americani (padre divorziato, nuova moglie giovane e figa, figlia estraniata e con carenze di concentrazione spedita in vacanza perenne da madre naturale incline agli psicofarmaci ed al sushi: nulla di nuovo sotto il sole) compra l’antica villona, la restaura e vi si trasferisce. Come evolvano le cose da qui in poi è di una banalità sconvolgente (le due o tre idee cruciali le avevo indovinate durante i titoli), ma per completezza d’informazione riassumerò qui sotto.

Anzitutto, la bambina (Sally) è infelice. Strano, dato che la madre l’ha spedita a 5000 km da casa ed il padre (Guy Pearce! Wow!) è uno stronzo interessato unicamente alla sua carriera di architetto ed ai soldi investiti nella nuova proprietà, e del fatto che i denti della sua figlioletta (o l’interezza del corpo della sua giovine moglie trofeo) stiano per diventare cibo per mostriciattoli strillanti se ne sbatte altamente gli zebedei. La bonazza neomoglie (interpretata, a forza di faccette, da Katie Holmes) è disperata perché non piace alla bimba alla quale, peraltro, non ha nessuna voglia di far da madre. Ma è destinata a essere quella che si rende conto e si sacrifica e cazzi & mazzi & smorfie. La figlia, infine. Che adorabile fanciulletta. E’ una tossicomane, con il cinismo di una 55enne ex ballerina di fila e un talento innato nel rendere tutto più triste. Per fortuna ha il senso di autoconservazione di un lemming depresso. Viene, coerentemente, attratta da luoghi bui e oscuri, ed in particolare da buchi in cantine murate ed abbandonate. Libera dunque, nonostante le rimostranze di un misterioso (e sfigato, ne dirò in seguito) membro della manovalanza locale, un esercito di piccole bestie con tendenze al rapimento ed alla masticazione di dentature altrui. I mostriciattoli in questione, contrariamente alla pratica comune in tali filmazzi, si vedono abbastanza presto nello svolgimento (il che non è male, ammetto). Sono una specie di ibrido tra dei rattoni (le pantegane dei dentini, diciamo) e delle scimmie, tipo quella dei Pirati dei Caraibi in versione mignon, più sgradevole e (ahinoi!) parlante (e petulante assai). C’è anche un solo momento “bu!”, pure abbastanza ben fatto. Qui, però, terminano i meriti della pellicola. Perché poi c’è il resto, molto. La mia preferenza va alle incongruenze e/o agli atti e parole di commovente stupidità da ascriversi ai vari protagonisti. Via di elenco!

  • La bimba è attratta dalle creaturine. Perché, non si sa. In compenso, una volta capito che sono delle infingarde bestiacce inclini al furto ed all’inganno, continua a volersele fare amiche: a più riprese l’imbelle chiacchiera amabile con i mostrini, e se ne fida;
  • Il semianalfabeta (al secolo, il signor Harris) che aveva annunciato, allo scoprimento della cantina, “non è sicuro, soprattutto per una bambina!” (sospetto? Nooo!) tenta di rinchiudere i roditori nel loro camino, e ne riceve in cambio un assalto all’arma bianca a base di utensili: quando riemerge nell’ingresso del villone, prima di cadere esangue faccia a terra dichiara alla cameriera “ho avuto un incidente” a mo’ di chiosa al fatto di avere forbici, cacciaviti ed altri oggetti di metallo conficcati ovunque dal tallone all’occhio. Il culmine, però, è come l’anziana donna delle pulizie presenta l’avvenuto ai proprietari “deve essere inciampato” – su che cosa, una mina anticarro? Per chiudere in gloria, tale massacro non porta ad alcun interesse da parte di qualsivoglia autorità locale (va bene che l’Harris era bassa manovalanza, ma insomma, dài);
  • Il padre-Pearce non si avvede di nulla fino a 5 minuti dalla fine, e si aggira per lo schermo non capendoci un cazzo peggio che in Memento – lì, però, aveva il difetto alla memoria, qui invece è solo afflitto da cretinismo e cupidigia;
  • La Holmes, invece, inspiegabilmente tende a dare ascolto alla stronzetta, e si reca in ospedale a visitare l’Harris, il quale farfuglia parole incomprensibili e, immotivatamente, una precisissima informazione su dove trovare spiegazioni in una biblioteca pubblica. La Katie, come ogni madre (adottiva) responsabile, segue le indicazioni del moribondo sconvolto dalla morfina (“non so quanto sia lucido, è sotto pesanti farmaci” precisa un’infermiera) e viene ammessa al cospetto dell’opera omnia del vecchio pazzo visto nel prologo. Ivi scopre che un pirla di bibliotecario fancazzista (classico personaggio dell’horror che non c’entra un cazzo, compare a 20 minuti netti dalla fine, fornisce l’informazione essenziale e poi torna nell’oblìo) è l’unico al mondo a conoscerne (del vecchio) gli ultimi disegni: mostrini che sbucano dal buio e mordono e rapiscono e blablabla. Illuminazione portentosa, prendiamo la piccola bastarda e fuggiamo da morte indegna, giusto? No! Decidiamo di andarcene, ma DOPO la cena coi colleghi del marito, sennò sai che figura. Mah.
  • podio di stronzate, 3° posto (medaglia di bronzo): incongruenze di base e stupidità delle creature: le bestie in questione, pare, temono la luce forte. Eppure se ne vanno a spasso invadendo varie stanze illuminate durante il film (salvo poi spegnere la luce). Ergo, fingono, gli stronzetti. Ed in ogni caso, sul finire, dimostrano di essere ben capaci di staccare la luce in tutta la casa. Aggiungete che pare debbano “prendere una vita ogni volta che aumentano i ranghi” (o minchiata consimile) ma abbiano “promesso” (i dettagli, al primo gradino del podio) di accontentarsi di “denti di bambino”: peccato che si vedano sucati esclusivamente due adulti, nella ciminiera. Ergo, mentono pure, i bastardelli. Per finire, sono apparentemente stati rinchiusi per oltre un secolo, ma come? Dato che se ne vanno scorrazzando agilmente in ogni dove, come cazzo son stati costretti nel camino? Con la retorica? E perché non murati vivi lì dentro? Insomma, non si capisce bene perché queste bestiacce non abbiano conquistato il mondo (e vivano, invece, solo nello squallido scantinato della villona) o, perlomeno, non si siano ciucciati tutti coloro che mettono piede in casa durante il film;
  • posto (argento): stupidità dei protagonisti (ed umani in genere): La bimba, pentita (tardi, cazzi tua) di aver scatenato i razzenti roditori, cerca di produrre prova fotografica della loro esistenza. Si aggira quindi con una polaroid (oh, il vintage!) per nationalgeograficare le creature. Le quali, peraltro, distruggono con foga le prove, dimostrando di temere la paparazzata. Però, quando la stolida sbarbatella spalma (con una libreria) una delle bestie, non le viene mica in mente di sollevare il cadaverino e mostrarlo al babbo ed agli ospiti di riguardo, rivelando al mondo l’arcano;
  • Primo posto (oro): il contratto col Santo Padre: viene rivelato che le creature hanno fatto un patto con Papa Silvestro II (mi pare, mi stavo pisciando dal ridere) promettendo di dare monetine in cambio di denti di bambino. Credo che architetto della trattativa sia stato Mino Raiola, perlomeno.

Quel che è peggio, avevo sperato in una redenzione, nel prefinale. Quando la Holmes, a terra stordita (è caduta anche lei nel tranello del filo nelle scale nell’oscurità: un evergreen), vede avanzare un esercito di topiscimmia che avanzano cantilenando “una vita deve essere presa”, mormora “Sally”. Auspicavo la genialata, il momento di massimo cinismo: l’adulto che sacrifica il bambino e lo dà (letteralmente) in pasto ai mostri. Invece, no. Voleva proteggere la figliastra. Allora ti sta bene che ti fratturino le gambe, poi, Katie.

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