Giaceva da tempo in un cassetto la recensione seguente - effetto della visione di Fast 5 in versione originale (mica cazzi, così non ci si perdono le sfumature della recitazione di Vin Diesel e The Rock): cogliendo al volo l'occasione del grande rientro sulle scene del nostro blog (vedasi recensione dell'horroraccio di turno, poco più in alto), vi beccate pure questa. E non vi lamentate, via, che in tempo di crisi è meglio di niente.
Ebbene sì, torna Vin Diesel nei panni di Dominic Toretto, torniamo noi a recensire. Adescati da dichiarazioni del protagonista sul tono di “questo è il miglior film della serie, dato che ora tutto ha un senso, diamo risposte ad interrogativi lasciati aperti in precedenza, c’è più ragionamento nello script” e via discorrendo.
A 5 minuti circa dall'inizio il buon Dominic-Vin (abile, arruolato & più muscolato che mai), trovatosi a mal partito a mani nude contro un manipolo di brutti ceffi armati, si guarda in giro nella disastrata casa di favela in cui si trova e, dopo rapida analisi della situazione (1.2 secondi, circa 200 colpi d’arma da fuoco esplosi), opta per la via di fuga più ragionevole. Ovverosia, passa per dei mattoni. Esemplare.
Pensereste di aver visto il meglio non fosse che i produttori, diabolici, hanno in serbo un rilancio di quelli pesanti. Onde ispessire, parecchio, la vicenda, hanno reclutato come antagonista qualcuno ancora più grosso di Diesel: The Rock, ovvero Dwayne Johnson per i più raffinati. Costui è largo come un camion della nettezza urbana, ed un poco meno manovrabile. Appare evidente come non possa raggiungersi le tasche, stante che bicipiti e tricipiti assortiti ed ipertrofici costringono le sue mani ad una distanza non inferiore ai 70 centimetri dal busto, conferendogli un’andatura giusto un filo macchinosa. Rinunziato quindi, a malincuore, al sogno della sua giovinezza (essere l’etoile di un balletto classico), egli si arruola come agente federale, e finisce a capo di un’unità dedita alla cattura dei ricercati più sfuggenti. Nella fattispecie, come ben immaginate, la nutrita famiglia Toretto (membri extra: l’ex agente interpretato da Paul Walker più una corte dei miracoli di afroamericani, latinos imbelli, asiatici, persino una israeliana ex Mossad).
Sullo sfondo di Rio (almeno, immagini del famigerato Cristo a profusione) i Nostri Eroi si trovano una volta di più a fare i conti con l’ineluttabile: sono dei bravi guaglioni intenti a farsi i fatti loro (corse illegali per le strade, tentativo di rubare auto preziosissime confiscate dalle autorità e dulcis in fundo lotta senza quartiere con l’indiscusso boss della mala locale), malauguratamente messi nel mirino dall’FBI (nella persona della ballerina fallita di cui sopra, e della sua squadra speciale).
Non ci si risparmia nulla: scazzottate imperiali nelle favelas (quando infine i due colossi si sbattono per bene, è tale la loro massa muscolare combinata che per due volte due nella stessa scena sfondano delle pareti: vabbene che l’edilizia nella periferia di Rio non dev’essere esattamente a norma, però ostia!), corse a perdifiato con cassaforte da 10 tonnellate trainata da due auto (rubate alla polizia locale, per giunta) e conseguente vasta distruzione del centro cittadino, agguati a colpi di mitra e bazooka, basso umorismo a base etnica. Ci sono anche 2 o 3 momenti in cui per 30 secondi circa nessuno si sta massacrando o inseguendo a 200 all’ora per stradine semisterrate, laddove si sviluppano ricche sottotrame. Tra i non–cliché offerti segnaliamo: la poliziotta brasiliana integerrima (e vedova di altrettanto integerrimo ed altrettanto pulotto) che si innamora del bruto dal cuore d’oro, gli altri poliziotti tutti venduti, antichi rancori che vengono sanati, figli in arrivo, l’incorruttibile agente federale che vuole vendetta privata contro i cattivi del terzo mondo: smancerie a profusione, insomma.
Non manca il colpo ad effetto per riuscire a scappare col contante da parte dei nostri, per scoprire il quale però dovrete vedervi il film, furbini! Il finale consta di una scena idilliaca con due coppiette scalze (o con infradito, che fa lo stesso bucolico) in paradisiaca località di mare. Auto iperpompate da competizione parcheggiate dietro al bungalow, e pronte a scatenarsi. Colonna sonora: Danza Kuduro, di Don Omar (che peraltro impersona uno dei due latini stolti di cui sopra, prendi-due-paghi-uno). Tormentone estivo forse un po’ troppo raffinato per la situazione. Sarebbe tutto, non fosse per il fatidico post-finale (guai ad andarsene durante i titoli di coda, è la lezione più importante). Il Roccioso Dwayne, ci viene rivelato, continua a lavorare indefesso. Ricompaiono, dall’oscurità di precedenti capitoli della saga, poliziotte scosciate e persone che si credevano morte. Capitolo 6 pendente, dunque. Dovrò rivedermi il resto, non vorrei perdermi nella complessità dell’intreccio.
Ps: menzione d’onore per la storia d’amore interraziale tra l’assurdamente gnocca israeliana ex-Mossad ed il cino-giappo-coreano. Ex-fumatore. Lei lo seduce irreparabilmente quando, per ottenere le impronte digitali del malvagio brasiliano, si fa stoccacciare a mano aperta sul culo. Consegnerà poi la metà bassa del bikini all’esperto di tecnologia del gruppo, ottenendone calco delle dita e accesso al cuore dell’asiatico. Gli interrogativi, sì, hanno avuto risposte.
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