Forse verrà un momento, in futuro, in cui ci volteremo indietro e ricorderemo l’avvento della terza dimensione al cinema. Come accadde per il sonoro, e il colore. Di certo, ora come ora, siamo in piena fase “nickelodeon”: spettacoli da un soldo messi insieme al solo scopo di sorprendere il pubblico, come e ancor più del famoso treno che bucava lo schermo un secolo fa.
È fatale che, essendosi nel frattempo definiti i generi, il compito debba toccare a due tipologie di opere: gli horror e i cartoni animati, da sempre votati all’estremizzazione delle situazioni. Purtroppo, ciò avviene anche a scapito di regia e sceneggiatura, come nel caso di “My bloody Valentine 3d”. Perché non di film si tratta, bensì di semplice tunnel dell’orrore da luna park di provincia, con tanto di scenario minerario e vagoni (anche se, va detto, il villain di turno è un salutista, e deambula che è un piacere).
Già dalla sigla iniziale apprendiamo che nella cittadina di Harmony (non ci soffermiamo sulla sublime ironia del nome) il minatore Tom Hanniger, per tragica distrazione, ha causato un incidente in un tunnel della miniera. Muoiono tutti i suoi compagni di lavoro tranne uno, Harry Warden, il quale, rimasto in coma per un anno, si risveglia e non trova di meglio da fare che ridurre a spezzatino il personale dell’ospedale (come non è dato sapere, non esistendo mazze ferrate nelle camere dei pazienti), prima di darsela a gambe.
La vicenda (ri)comincia appunto da una festa di S.Valentino, che un gruppo di ragazzi, tra cui lo stesso Hanniger, decide – con ammirevole intuito – di ambientare nella miniera.
Ovviamente, Warden si ripresenta dilaniando corpi per la gioia del 3d, in modo tanto smaccato quanto ridicolo. Anzi, al termine della nuova mattanza, viene pure sforacchiato dai colpi di pistola degli agenti accorsi sul posto. Ma non ucciso, ci mancherebbe.
Hanniger, d'altra parte, è sopravvissuto alla strage e, leggerissimamente scosso dagli eventi, decide di andarsene. Tornerà ad Harmony solo dieci anni dopo, per rivendere la fortunata miniera che era del padre.
Accolto in città con lo stesso calore che si riservava a una strega durante l’Inquisizione (la comunità tiene assai al luogo dell'eccidio), dovrà fronteggiare il marito sceriffo della sua ragazza di allora, nonché un’improvvisa recrudescenza di delitti, perpetrati secondo le modalità predilette dal killer picconatore (ossia squartamenti, dissezioni, massacri).
È ancora Warden? I vecchi del paese giurano di averlo ammazzato, ma nella fossa scavatagli per l’occasione non è rimasto nulla. Dunque, partono le appassionanti ipotesi sull’autore delle gesta (in città sospettano, più che altro per antipatia, che si tratti di Hanniger).
Da illusi, confidavamo in un finale pseudo-logico. Invece, come non bastasse, gli illuminati sceneggiatori (?) utilizzano, una volta di più, il doping del personaggio impazzito. Che fra l’altro, ci viene detto, scamperà all’ennesimo tentativo di cattura, travestendosi da poliziotto e allontanandosi inosservato (nonostante l’andatura caracollante, tipica di chi ha ricevuto una scarica di mitra addosso). Una fortuna.
A chiusura, qualche nota: il film, effettivamente, gronda sugo da ogni poro. Si ha spesso la sensazione, anzi, che i personaggi siano fatti di polistirolo, vista la facilità con cui vengono segati i busti, bucati i crani, slogate le mandibole. Come trucco, niente da dire. Come estetica, è quella tipica degli orrori seriali, con qualche incursione nel sadico e vari tuffi nel trash (memorabile, in questo senso, la sequenza dell’albergo, che assomma tutti i luoghi tipici del genere: nudità esposte, nanismo preso in giro, animali sbriciolati). Quanto alle tre dimensioni, il bilancio è scarno: degli oggetti che ci sono virtualmente arrivati addosso, abbiamo scansato una pistola, e guardato con malinconia un bulbo oculare divelto. I colpi di piccone, invece, ci hanno mancato tutti, ma forse è per via della sonnolenza.
È fatale che, essendosi nel frattempo definiti i generi, il compito debba toccare a due tipologie di opere: gli horror e i cartoni animati, da sempre votati all’estremizzazione delle situazioni. Purtroppo, ciò avviene anche a scapito di regia e sceneggiatura, come nel caso di “My bloody Valentine 3d”. Perché non di film si tratta, bensì di semplice tunnel dell’orrore da luna park di provincia, con tanto di scenario minerario e vagoni (anche se, va detto, il villain di turno è un salutista, e deambula che è un piacere).
Già dalla sigla iniziale apprendiamo che nella cittadina di Harmony (non ci soffermiamo sulla sublime ironia del nome) il minatore Tom Hanniger, per tragica distrazione, ha causato un incidente in un tunnel della miniera. Muoiono tutti i suoi compagni di lavoro tranne uno, Harry Warden, il quale, rimasto in coma per un anno, si risveglia e non trova di meglio da fare che ridurre a spezzatino il personale dell’ospedale (come non è dato sapere, non esistendo mazze ferrate nelle camere dei pazienti), prima di darsela a gambe.
La vicenda (ri)comincia appunto da una festa di S.Valentino, che un gruppo di ragazzi, tra cui lo stesso Hanniger, decide – con ammirevole intuito – di ambientare nella miniera.
Ovviamente, Warden si ripresenta dilaniando corpi per la gioia del 3d, in modo tanto smaccato quanto ridicolo. Anzi, al termine della nuova mattanza, viene pure sforacchiato dai colpi di pistola degli agenti accorsi sul posto. Ma non ucciso, ci mancherebbe.
Hanniger, d'altra parte, è sopravvissuto alla strage e, leggerissimamente scosso dagli eventi, decide di andarsene. Tornerà ad Harmony solo dieci anni dopo, per rivendere la fortunata miniera che era del padre.
Accolto in città con lo stesso calore che si riservava a una strega durante l’Inquisizione (la comunità tiene assai al luogo dell'eccidio), dovrà fronteggiare il marito sceriffo della sua ragazza di allora, nonché un’improvvisa recrudescenza di delitti, perpetrati secondo le modalità predilette dal killer picconatore (ossia squartamenti, dissezioni, massacri).
È ancora Warden? I vecchi del paese giurano di averlo ammazzato, ma nella fossa scavatagli per l’occasione non è rimasto nulla. Dunque, partono le appassionanti ipotesi sull’autore delle gesta (in città sospettano, più che altro per antipatia, che si tratti di Hanniger).
Da illusi, confidavamo in un finale pseudo-logico. Invece, come non bastasse, gli illuminati sceneggiatori (?) utilizzano, una volta di più, il doping del personaggio impazzito. Che fra l’altro, ci viene detto, scamperà all’ennesimo tentativo di cattura, travestendosi da poliziotto e allontanandosi inosservato (nonostante l’andatura caracollante, tipica di chi ha ricevuto una scarica di mitra addosso). Una fortuna.
A chiusura, qualche nota: il film, effettivamente, gronda sugo da ogni poro. Si ha spesso la sensazione, anzi, che i personaggi siano fatti di polistirolo, vista la facilità con cui vengono segati i busti, bucati i crani, slogate le mandibole. Come trucco, niente da dire. Come estetica, è quella tipica degli orrori seriali, con qualche incursione nel sadico e vari tuffi nel trash (memorabile, in questo senso, la sequenza dell’albergo, che assomma tutti i luoghi tipici del genere: nudità esposte, nanismo preso in giro, animali sbriciolati). Quanto alle tre dimensioni, il bilancio è scarno: degli oggetti che ci sono virtualmente arrivati addosso, abbiamo scansato una pistola, e guardato con malinconia un bulbo oculare divelto. I colpi di piccone, invece, ci hanno mancato tutti, ma forse è per via della sonnolenza.
LA SCHEDA
S. Valentino di Sangue - 3d
In una frase: "non avevo capito che fosse sua la miniera"
Sconsigliatissimo: a chiunque ami gli horror (è indicibilmente noioso), le tre dimensioni (sono sprecate) e la festa di S. Valentino (mettete dei fiori nei vostri picconi).
Giudizio: KKKK
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