In compagnia, dunque, del collega - assai più ammaliato di me dal genere – e soprattutto intossicato di puramente cinefilica attrazione alla vista del promettente poster (ove campeggiavano prorompenti e sodissimi i glutei della bonazza protagonista, e solo a margine – giustamente – compariva il pestifero Jumby, quello che vuole nascere, ora etc etc) – ingrifato, insomma, come si conviene, e munito di abbondante sfiducia, mi reco in sala. Segue un'ora e mezza scarsa in cui la vicenda si dipana sullo schermo senza un sussulto che sia uno - suggerimento ai produttori di horror: quando volete far saltare il pubblico sulla sedia NON avvisate sistematicamente con musichetta e inquadratura standard che sta per comparire il mostro cattivo a fare “bu!”. Sennò poi la gente se lo aspetta. E' il 21mo secolo, siamo tutti scafati, blablabla. Il succo della vicenda (invero, assai poco) si può riassumere in quanto segue:
- il solito manipolo di produttori senza straccio di qualità si riunisce in sessione plenaria e, dopo – verosimilmente – 120 ore di intensissimo brainstorming, propone la fatidica genialata: facciamo un horror. Wow. Ma, attenzione!, vi è la novità. Il tema: bimbi non nati, bimbi che non si vorrebbero far nascere. In sostanza, il primo horror abortista a memoria d'uomo. Brivido, progressismo, benvenuti nell'era-Obama;
- la protagonista (bonazza opportunamente sventolata al pubblico) è giovane e ingenua, e si vede catapultata in un mondo d'incubo allorquando diverse inquietanti visioni le si affacciano mentre fa jogging: particolarmente spaventosi un botolo grasso con faccia da uomo ed il figlio dei vicini che la squadra arrapato;
- segue epifania del Mainato eponimo, che manifesta singolare gusto nell'apparire (“bu!”, sistematico) di preferenza dallo specchio del bagno, quando la ragazza si rimira poco vestita la sera – bravo!, bis!;
- indagando sull'apparentemente tranquillo passato della famiglia, la ragazza improvvisamente rimembra che la madre è morta in manicomio, devastata dalla follia, la nonna non si è mai saputo chi fosse, ci sono diverse cose che non quadrano (un fratello? avevo un fratello gemello che non è mai nato? Ma dai?): il padre, in compenso, se ne sbatte altissimamente, giustamente preso dal lavoro (un po' di etica, perdio!);
- si svela che la nonna è viva e vegeta, ancorchè vagamente turbata da avvenimenti passati: era stata in campo di concentramento (ah! Ecco l'altro ingrediente nuovo! Horror a tema shoah!), ove il dr. Mengele (voilà, sempre più originale), sperimentando allegro, le aveva accoppato il fratello gemello (daje...), aprendo così la porta alla incarnazione di un demone tipico (così pare) dell'immaginario ebraico – il dybbuk;
- il quale dybbuk, pervicace fino alla nausea, perseguita da allora la stessa famiglia per generazioni, in cerca di altro veicolo tramite il quale infilarsi nel mondo dei vivi – si può, pare, impadronire di chiunque gli venga a tiro, ma solo pro tempore, ed invece vorrebbe tanto possedere a tempo indeterminato qualcuno (occorre che sia uno di due gemelli, mah), e fatidicamente sceglie la nostra eroina (bravo, di nuovo!) - cui in dono porterebbe un caratteraccio, ma anche degli splendenti occhi azzurrissimi (il sempre valido Mengele aveva ottenuto lo scopo, infine, di arianizzare l'ascendente ebreo);
- entra in scena l'ottimo Gary Oldman, nella parte di un rabbino progressista e svogliatissimo, che dapprima rifiuta di aiutare la ragazza con un esorcismo cabbalistico (ecco, ecco la novità!), ma poi – perseguitato dai sensi di colpa e dalle visioni del fondoschiena di lei – ritratta la propria posizione, recluta l'indispensabile aiuto di un suo amico di colore allenatore di basket (giuro!) e una dozzina di altre insipienti comparse, e si accinge ad allontanare per sempre il dimonio;
- la cosa, ovviamente, costa un succoso tributo di sangue e dolori assortiti, ma riesce. Non fosse che la giovine, in un finale che veramente riesce a non sorprendere come poche volte nella storia, scopre di essere incinta: indovinate? Gemelli! Si attendono sviluppi. Ma anche no.
Ce ne sarebbero altre da dire. Si tenta di rivitalizzare un soggetto defunto prima di nascere (già che siamo in tema) con millanta citazioni da classici del genere – ma ogni tentativo di serietà frana miseramente di fronte alla scena in cui un vecchio intronato e semiparalizzato (vicino di stanza della nonna segreta in casa di cura) si trova a zompettare allegro per i corridoi nottetempo, imitando scioltamente su per le scale l'andatura resa famosa ne L'Esorcista. La morale che se ne trae, inequivocabilmente, è che un po' di possessione fa miracoli per l'artrite reumatoide – e per diverse forme di demenza senile. Il resto del cast è composto da persone che si meritano chiaramente di finire ammazzate (vedasi canonica amica scema della protagonista, trucidata dal nanerottolo vicino di casa, che peraltro chiaramente è cattivo dentro, di suo, e la possessione in fondo è tutta una scusa) o che se ne fottono bellamente. Oldman è esemplare in tal senso – ma, se non altro, non vuole vendere il solito “abbi fede e ti salverai”. Che, tanto, non è vero. Lo sanno tutti.
Morale: gli ebrei, cattivoni, abortiscono e si beccano i propri demoni. Forse mi son sbagliato. Forse non è poi un horror così progressista.
PS: una preghiera che viene dal cuore. Basta citare Mengele a sproposito. Ormai è stato protagonista di più opere di fantasia del Conte Dracula e del Mostro di Frankenstein messi insieme. Sarebbe il caso di ricordarsi che non si tratta di un cattivo da fumetto - su, un piccolo sforzo.
IL MAI NATO
Sconsigliatissimo: a chiunque non si spaventi più per un "bu" annunciato. E non si accontenti di poche inquadrature del fondoschiena della protagonista. Almeno quello, abbondate!
Giudizio: KKKk
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