C'è un film di cui non ho mai sentito parlare (minimamente, giuro), c'è una settimana alle spalle con circa 3 ore di sonno per notte, c'è un amico che – amante dei pupazzetti e profeta del treddì – propone serata al cinema, c'è un multisala attrezzato con le più nuove e spettacolari tecnologie, ed un localaccio attiguo ove rimpinzarsi di hamburger e patate fritte. Gli ingredienti son tutti lì, basta mescolare e servire. Il risultato è stato, decisamente, straniante. Provo a renderne conto, per quanto possibile.
Battle for Terra viene (brillantemente, come sempre) tradotto e distribuito in italiano come Battaglia per la Terra. Valà, pensavo che in inglese si dicesse Earth, non si finisce mai di imparare. Entro in sala avvolto nell'ignoranza più totale riguardo al prodotto che mi accingo a sperimentare. Entriamo in sala e non c'è la maschera a fornire i preziosissimi occhialini per la visione tridimensionale (cominciamo benissimo), ci si siede e lo scarso pubblico è di quelli indecifrabili, che non consentono di prevedere che tipo di film si sia finiti ad affrontare. Passano i soliti trailer 3d, ed inizia lo show. Sconvolgente.
Su un pianeta che non è il nostro (mmm) il lungometraggio si apre con una scena bucolica – se accettate di applicare la definizione ad una specie di tapiro con le ali che svolazza (funzione: insetto) da una all'altra di una serie di strutture vagamente simili ad anemoni con le ali (funzione: fiori), si suppone impollinandole. Il paesaggio, per dirla tutta, è discretamente desertico (e lisergico, pure), ma insomma pare di capire che sia un posto felice. Abitato, oltre che dagli insettazzi e dalle piante (mah) di cui sopra, da due o tre altre specie animali e vegetali. Gran bell'ecosistema, complimenti. Si viene a scoprire che ci sarebbe pure la fatidica specie intelligente, personificata nella fattispecie da una razza di strane bestie, sorta di incrocio tra Snorky e tavole da surf (la definizione non è mia, ma calza da dio) – che, indovinate?, pure sanno fluttuare. Loro, tirando delicati ma efficaci colpi di coda (a forma di surf, appunto) e galleggiando nell'aere. Hanno occhioni grandissimi (secondo me son tutti fatti come biglie, ma loro negano) e animo delicato. Vivono in pace con la natura. Guidano specie di mega aquiloni per spostarsi più velocemente – il che regala scene memorabili, come quella in cui due giovani virgulti di questa fetente razza svolazzano in compagnia di una sorta di balena dei cieli. Della quale, peraltro, siamo gratificati con diverse inquadrature; inclusa una dettagliata del suo complicatissimo sfintere. Wow.
In tutto ciò giunge sulla scena una gigantesca nave spaziale, che oscura il sole e getta in un immotivato timor panico gli inquilini dell'unica, minuscola, città del pianeta – gli incolti credono trattarsi di dei venuti dal cielo. Più prosaicamente, si tratta degli umani, emigrati dal nostro pianeta a seguito di guerra distruttrice in cerca di nuovo spazio vitale. E per niente disposti a negoziare. Poco furbi, però, dato che, invece di nuclearizzare o altrimenti spazzar via gli autoctoni, passano a volo radente con delle navicelle e li rapiscono uno per uno – allo scopo, pare, di capire come inalino un'atmosfera per noi particolarmente irrespirabile. Nell'espletare la suddetta nobile missione uno degli eroici piloti si schianta malamente. Viene salvato dalla virgulta della razza aliena (che lui, con commovente gentilezza, apostrofa ripetutamente “mostro”), interessata non tanto alla di lui manzitudine (particolarmente sexy le orecchie a sventola del nostro) ma a convincerlo a salvare il proprio padre, prigioniero nell'ultimo raid umano. A rimorchio del fessacchiotto sta un robottino insettiforme e saccente (ma, in fondo in fondo, molto buono). Nasce rispetto, amicizia, fiducia e cazzi varii. Lui torna a casa, i.e. sull'astronave madre, con la compagnia di lei (che, peraltro, è dotata di innato genio meccanico, nonostante appartenga ad una razza volontariamente arretrata – pianeta che vai, usanze che trovi). Si scopre che il pacificissimo popolo di scarrafoni malcresciuti un tempo era guerriero come e più di noi, prima di ravvedersi. Che istruttivo. Incidentalmente, sono più che pronti, gli imenotteri sproporzionati, a riprendere in mano le armi onde cacciarci – giustissimamente – a calci in culo. Sul fronte umano, un generale fascistoide ed ingrifato dalla conquista sferra l'attacco finale, desioso di impiantare un gigantesco siringone sul pianeta e renderne così l'atmosfera degnamente ossigenata – garantendoci la vittoria per asfissia dell'avversario. Peccato che l'eroico pilota sia ormai conquistato dalla bella ed intelligente mostriciattola, e si vada a schiantare contro l'ultima speranza della nostra razza onde salvare gli indigeni. Il porco traditore. Ma, come sempre c'è un ma.
La giovine creaturina ha appreso la lezione e l'insegna a destra e a manca: meglio convivere in pace che massacrarsi a vicenda. Rifiutandosi, quindi, di lordare di sangue le mani di tutti, propone soluzione di compromesso. Costruiamo un enorme tendone che, per virtù del tutto inesplicabili al sottoscritto recensore, riuscirà a trattenere sotto apposita cupola ossigeno in quantità sufficienti a garantire il prosperare degli umani. Prosperare, oddio, sembrano sorci in gabbia o uccelletti in voliera, ma tanto si può avere e di tanto si accontentano.
I dettagli mi sfuggono, stante che ho vagato tra sonno e veglia per metà visione – del resto, risultava piuttosto difficile accorgersi di essere al cinema di fronte alla messe di improbabili baggianate che scorrevano sullo schermo. Il pensiero che si trattasse di digestione pesante e conseguenti vaneggi privati addolciva il tutto. Ma fatemi pensare, dimentico forse qualcosa?
Ah, si. Terra è il nome che i nostri, lontani millanta anni luce dal sistema solare, han dato (loro che parlano inglese, of course), al pianeta che volevano parassitare. Quello degli Snorky, si. Bella la traduzione. Peccato il film.
Battle for Terra viene (brillantemente, come sempre) tradotto e distribuito in italiano come Battaglia per la Terra. Valà, pensavo che in inglese si dicesse Earth, non si finisce mai di imparare. Entro in sala avvolto nell'ignoranza più totale riguardo al prodotto che mi accingo a sperimentare. Entriamo in sala e non c'è la maschera a fornire i preziosissimi occhialini per la visione tridimensionale (cominciamo benissimo), ci si siede e lo scarso pubblico è di quelli indecifrabili, che non consentono di prevedere che tipo di film si sia finiti ad affrontare. Passano i soliti trailer 3d, ed inizia lo show. Sconvolgente.
Su un pianeta che non è il nostro (mmm) il lungometraggio si apre con una scena bucolica – se accettate di applicare la definizione ad una specie di tapiro con le ali che svolazza (funzione: insetto) da una all'altra di una serie di strutture vagamente simili ad anemoni con le ali (funzione: fiori), si suppone impollinandole. Il paesaggio, per dirla tutta, è discretamente desertico (e lisergico, pure), ma insomma pare di capire che sia un posto felice. Abitato, oltre che dagli insettazzi e dalle piante (mah) di cui sopra, da due o tre altre specie animali e vegetali. Gran bell'ecosistema, complimenti. Si viene a scoprire che ci sarebbe pure la fatidica specie intelligente, personificata nella fattispecie da una razza di strane bestie, sorta di incrocio tra Snorky e tavole da surf (la definizione non è mia, ma calza da dio) – che, indovinate?, pure sanno fluttuare. Loro, tirando delicati ma efficaci colpi di coda (a forma di surf, appunto) e galleggiando nell'aere. Hanno occhioni grandissimi (secondo me son tutti fatti come biglie, ma loro negano) e animo delicato. Vivono in pace con la natura. Guidano specie di mega aquiloni per spostarsi più velocemente – il che regala scene memorabili, come quella in cui due giovani virgulti di questa fetente razza svolazzano in compagnia di una sorta di balena dei cieli. Della quale, peraltro, siamo gratificati con diverse inquadrature; inclusa una dettagliata del suo complicatissimo sfintere. Wow.
In tutto ciò giunge sulla scena una gigantesca nave spaziale, che oscura il sole e getta in un immotivato timor panico gli inquilini dell'unica, minuscola, città del pianeta – gli incolti credono trattarsi di dei venuti dal cielo. Più prosaicamente, si tratta degli umani, emigrati dal nostro pianeta a seguito di guerra distruttrice in cerca di nuovo spazio vitale. E per niente disposti a negoziare. Poco furbi, però, dato che, invece di nuclearizzare o altrimenti spazzar via gli autoctoni, passano a volo radente con delle navicelle e li rapiscono uno per uno – allo scopo, pare, di capire come inalino un'atmosfera per noi particolarmente irrespirabile. Nell'espletare la suddetta nobile missione uno degli eroici piloti si schianta malamente. Viene salvato dalla virgulta della razza aliena (che lui, con commovente gentilezza, apostrofa ripetutamente “mostro”), interessata non tanto alla di lui manzitudine (particolarmente sexy le orecchie a sventola del nostro) ma a convincerlo a salvare il proprio padre, prigioniero nell'ultimo raid umano. A rimorchio del fessacchiotto sta un robottino insettiforme e saccente (ma, in fondo in fondo, molto buono). Nasce rispetto, amicizia, fiducia e cazzi varii. Lui torna a casa, i.e. sull'astronave madre, con la compagnia di lei (che, peraltro, è dotata di innato genio meccanico, nonostante appartenga ad una razza volontariamente arretrata – pianeta che vai, usanze che trovi). Si scopre che il pacificissimo popolo di scarrafoni malcresciuti un tempo era guerriero come e più di noi, prima di ravvedersi. Che istruttivo. Incidentalmente, sono più che pronti, gli imenotteri sproporzionati, a riprendere in mano le armi onde cacciarci – giustissimamente – a calci in culo. Sul fronte umano, un generale fascistoide ed ingrifato dalla conquista sferra l'attacco finale, desioso di impiantare un gigantesco siringone sul pianeta e renderne così l'atmosfera degnamente ossigenata – garantendoci la vittoria per asfissia dell'avversario. Peccato che l'eroico pilota sia ormai conquistato dalla bella ed intelligente mostriciattola, e si vada a schiantare contro l'ultima speranza della nostra razza onde salvare gli indigeni. Il porco traditore. Ma, come sempre c'è un ma.
La giovine creaturina ha appreso la lezione e l'insegna a destra e a manca: meglio convivere in pace che massacrarsi a vicenda. Rifiutandosi, quindi, di lordare di sangue le mani di tutti, propone soluzione di compromesso. Costruiamo un enorme tendone che, per virtù del tutto inesplicabili al sottoscritto recensore, riuscirà a trattenere sotto apposita cupola ossigeno in quantità sufficienti a garantire il prosperare degli umani. Prosperare, oddio, sembrano sorci in gabbia o uccelletti in voliera, ma tanto si può avere e di tanto si accontentano.
I dettagli mi sfuggono, stante che ho vagato tra sonno e veglia per metà visione – del resto, risultava piuttosto difficile accorgersi di essere al cinema di fronte alla messe di improbabili baggianate che scorrevano sullo schermo. Il pensiero che si trattasse di digestione pesante e conseguenti vaneggi privati addolciva il tutto. Ma fatemi pensare, dimentico forse qualcosa?
Ah, si. Terra è il nome che i nostri, lontani millanta anni luce dal sistema solare, han dato (loro che parlano inglese, of course), al pianeta che volevano parassitare. Quello degli Snorky, si. Bella la traduzione. Peccato il film.
LA SCHEDA
Battle for Terra - 3d
Battle for Terra - 3d
In una frase: "i disegni son fatti anche bene, ma queste bestie non si possono guardare".
Sconsigliatissimo: a chi ama i buoni lavori in CG: Pixar, Dreamworks, etc. O i cartoni tradizionali stile Disney. O quelli giapponesi. Insomma, avete capito. Gli altri, che ve lo dico a fare?
Giudizio: KKKK (non vorrei eccedere, mi son perso qualcosa dormendo)
Sconsigliatissimo: a chi ama i buoni lavori in CG: Pixar, Dreamworks, etc. O i cartoni tradizionali stile Disney. O quelli giapponesi. Insomma, avete capito. Gli altri, che ve lo dico a fare?
Giudizio: KKKK (non vorrei eccedere, mi son perso qualcosa dormendo)
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