sabato 30 marzo 2013

The host - Andiamo a mietere il grano

Ritorna, inesorabile, la rubrica “Stai seria con la faccia ma però”. Ospite del giorno (è proprio il caso di dirlo) “The host” di Andrew Niccol, dalla pluricelebrata (per “Twilight”) Stephanie Meyer. Trattasi di ennesima rivisitazione del sempiterno tema della convivenza tra uomini e alieni, in genere scongiurata a colpi di battaglie apocalittiche quando non risolta dalla colonizzazione in pectore del nostro pianeta (chi si ricorda del mitico “Essi vivono” di Carpenter?). Qui si sceglie la seconda strada, con l'addizione dell'apparente vocazione pacifistico-ecumenica degli ospiti, che una volta giunti sulla Terra pensano bene di bonificarla occupando i corpi dei selvaggi umani di turno.
La prassi è presto detta: stordito che sia il neanderthaliano nostro simile, i raffinatissimi conquistatori, di forma vagamente spermatozoica, vengono inoculati da appositi Guaritori (sic) nelle membra dell'incivile autoctono, invadendone la mente prima che il corpo e lasciando, quale unico segno visibile della loro (com)presenza, un cerchio di luce attorno alle iridi. Nella maggior parte dei casi, l'Anima in transito non trova resistenze nell'umano precedente e lo atrofizza al punto da annullarlo. Ma in alcune, sfortunate, evenienze, capita che il cervello originario continui a funzionare e poco tolleri, come si comprenderà, la convivenza con il nuovo arrivo.
Eccoci quindi al film. Catturata dagli alieni dopo un fallito tentativo di fuga, Melanie (Saoirse Ronan, già nel recensito “Amabili resti”) subisce il trapianto nei propri visceri di tale Viandante (un'Anima di circa mille anni, già stata in svariati pianeti, secondo cui c'è vita anche lì ma, a quanto pare, non così interessante come da noi – saranno le disco) e ingaggia subito una battaglia senza esclusione di colpi con lei. Vuole evitare, in particolare, che la sgradita inquilina, che ha accesso ai suoi segreti, sveli dove si trovano tutti i suoi affetti rimasti (il fratellino Jason e il drudo Jared) alla bieca Cercatrice (un'algida, e piuttosto insopportabile, Diane Kruger).
Ne esce un singolare ritratto della schizofrenia. La nostra combatte coi propri ricordi (amplessi col drudo, per lo più) e trova parecchie difficoltà ad eterodirigere l'Anima in affitto, che comprende la situazione e sviluppa una sorprendente empatia con la padrona di casa. Entrambe, in qualche modo, si coalizzano contro la Cercatrice predetta, che con fare teutonico già medita di spedire l'inefficiente Viandante in qualche altro corpo e insinuarsi lei nel corpo di Melanie. Fiutato il pericolo, e non senza resistenze della timida aliena (sorvoliamo sui dialoghi/monologhi fuori campo della Ronan, pericolosamente sulla linea di confine del ridicolo), la/e protagonista/e trova/no il modo di evadere e scappare verso il deserto.
Qui si rende necessaria una digressione: per riuscire nell'impresa, Melanie/Viandante ruba un'auto a un vecchietto colonizzato, approfittando della sua sincerità e cortesia - “non diciamo mai bugie” – così da ricordarci, inevitabilmente, l'atmosfera fintamente idilliaca del ben più divertente “Demolition man” di quasi vent'anni prima. In quel caso, la San Angeles del futuro non era abitata da extraterrestri, bensì da una nuova classe dirigente, anch'essa ispirata a una new age di pace e prosperità, e a tal punto ingenua da aver sostituito il rock coi jingle pubblicitari. Dietro la facciata immacolata – ogni funzionario andava in giro con uniformi bianche, proprio come gli ospiti elegantoni di cui sopra – covava però una durissima e insopprimibile resistenza di esseri umani vecchio stile, costretti a consumare topoburger nelle fogne pur di sottrarsi all'ipocrisia dominante. Nel film di Niccol, invece, la retroguardia ha scelto una via bucolica: i pochi superstiti si sono infatti radunati sotto il comando di Jeb, zio di Melanie, impersonato da un irresistibile William Hurt versione agreste con cappellaccio, fucile a canne mozze e codino, che per tutta la durata dell'opera elargisce perle filosofiche, ironia non richiesta e pugno duro coi dissidenti. Fiero della propria assurdità, si è anzi rintanato in una grotta sotterranea nel deserto (“non sono io che ho trovato lei, è lei che ha trovato me”) e ne ha fatto un avamposto lealista agli assalti dei conquistatori. Ci coltiva anche il grano, sfruttando il sole attraverso un complicato sistema di specchi girevoli, all'occorrenza oscurabili per sfuggire ai raid aerei degli invasori. Un genio, e un attore finito.
Tanto divagato, ritorniamo alla storia. La fuga ha infine buon esito. Era appunto lo zio l'obiettivo della protagonista. Quando lo ritrova, si innesca tuttavia una spirale di sospetti tra gli accoliti del guru, che non vedono esattamente di buon occhio la reunion, visto che la nipote, con le sue iridi cerchiate, appare un'aliena, e viene subito ritenuta una spia. La situazione si complica ulteriormente perché del gruppo fanno parte anche il fratellino e il drudo di cui sopra, che vive un terrificante conflitto psicologico/ormonale su come approcciare la nuova/vecchia compagna. Perfino il suo sodale Ian – qui la Meyer esagera – si innamora di Viandante (o in realtà di Melanie: beh, del corpo dell'una e della mente dell'altra, se ci credete) e ne ha, ricambiato, un bacio, tra le proteste silenziose dell'originale.
La trama, ad ogni modo, svolta non appena Wanda (il modo in cui l'ineffabile Hart ha ribattezzato l'Anima in prestito) si accorge del segreto scopo degli esseri umani: rapire propri simili ed estrarre gli alieni dai loro corpi, nella speranza di farli tornare come prima. Peccato che il delicato intervento sia messo nelle mani dell'imperito Doc, un onesto maniscalco del bisturi che strappa via le Anime come se mettesse in moto un gommone, sacrificando, con loro, anche i corpi ospitanti. Sarà l'aliena, smaltito il naturale raccapriccio per un simile modus operandi, a spiegare la procedura corretta, rubando agli invasori gli accessori all'uopo (e intascandosi, con l'occasione, una medicina miracolosa che salverà Jason da una ferita in setticemia e le conquisterà, definitivamente, la fiducia del gruppo).
Il resto è fiera dell'ottimismo. La Cercatrice, impazzita di rabbia, usa ogni mezzo per scovare la/e fuggitiva/e, compreso l'accidentale omicidio di un suo sottopancia (nero, come tutti i sottopancia della Kruger, bianca e ariana – ognuno tragga le proprie conseguenze), che gli inimica tutto l'irenico apparato centrale. Quando, disperata, giunge alla meta, Jeb la ferisce e la imprigiona. La sua Anima verrà estratta e spedita nell'aere siderale, a rendere più spiacevoli altri pianeti, mentre Wanda sarà instillata in un corpo diverso da Melanie, così da far contento Jared, che riavrà la sua ragazza, e Ian, che ne troverà finalmente una (la scusa per motivare il tutto è che il nuovo corpo in prestito è di una persona che, precedentemente liberata da un'altra Anima, “sarebbe sicuramente morta” senza un nuovo innesto – mah).
Tanto basterebbe. Ma nel finale ci si racconta insospettabilmente che alcuni alieni, occupati gli esseri umani, stanno iniziando a schierarsi con la resistenza. Le ragioni sono sconosciute: forse un inno alla convivenza, forse, più probabilmente, un tentativo di superare i disturbi bipolari.

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