“Il sughero?”
“Il sughero”
È incredibile pensare
che David Cronenberg, il regista delle teste che esplodono
("Scanners"), dei joypad organici ("eXistenZ"), dei bisturi arcuati
("Inseparabili") abbia scritto dei dialoghi simili, e ci abbia
imbastito sopra un film. Incredibile constatare che chi ha fatto
delle mutazioni corporee il proprio veicolo comunicativo ed estetico,
lasciando alla psiche la primogenitura del disturbo, forse l'unica
risposta cinematografica possibile a Francis Bacon, sia naufragato in
un orrendo polpettone di fumisterie pseudo-filosofiche, vacuo e
inconcludente come il peggior Wenders, insensato come un cattivo
Antonioni, perfino vagamente necrofilo.
"Cosmopolis", tratto da un
romanzo di Don De Lillo (che non leggeremo almeno per le prossime due
decadi), altro non è che un tetro viaggio nella noia,
nell'incapacità di emozionarsi, nella morte cerebrale. Interpretato
dal diafano Robert Pattinson (inspiegabilmente perfetto nella parte),
è la controstoria di un tycoon finanziario ventottenne, che passa le
sue giornate a bordo di una lunghissima, interminabile limousine,
contemplando distrattamente il magmatico traffico metropolitano e
intrattenendosi, in chiave semiseria, con un tristo carosello di
dipendenti/discepoli.
Salgono e scendono, con
la stessa intelaiatura di un'opera a episodi (ai sedili, e al frontal
di Pattinson, bisogna purtroppo abituarsi subito) varie figure
dimenticabili, spesso involontariamente caricaturali: il genio dagli
occhi a mandorla che gioca le fortune del principale sulle
oscillazioni dello yuan, le concubine che se lo scopano (compresa una
grottesca Juliette Binoche), gli insopportabili esemplari di
amiche/confidenti/collaboratrici, che pur di strappare un'opinione
(?) al semidio deragliano in un pretenzioso profluvio di pensieri
sconnessi. C'è anche un gigantesco rapper, col consueto corredo
gestuale, che consola il commosso milionario quando tra i finestrini
scorre il funerale del Tupac di turno, suo muzak personale in uno
degli ascensori di palazzo.
L'eroe, a propria volta,
dà ampio sfoggio di sé, trastullandosi con ogni sorta di agi
portatili (computer ultimo grido, cesso estraibile, pareti
insonorizzate – il sughero di cui sopra) e ammorbando gli
interlocutori con richieste terminali, tipo dove vengono parcheggiate
le sue limousine di notte o come attraversare l'ingorgo per farsi
regolare i capelli dal barbiere di fiducia.
Tutto ciò, se mai non si
fosse intuito, già basterebbe a farci odiare Cronenberg e la
senilità, ma purtroppo lo sfondo è, se possibile, ancora peggiore:
tra un delirio e l'altro, viene a più riprese rilanciata la bizzarra
idea (mutuata dal libro, supponiamo) di un mondo dominato, anziché
dal denaro, dai topi. E, per rendere più chiara l'antifona, il
regista ci ammannisce perfino l'imbarazzante pagliacciata di uomini
in costume da ratto che precipitano, nel corso di un tumulto urbano,
sui tetti delle auto in coda. Altri topi - veri, stavolta - vengono
lanciati, sempre a scopo di protesta (forse nei confronti del
copione), tra i tavolini di un bar, nel corso di una delle scene che
rompono l'unità di luogo (e non solo) per consentire a Pattinson di
muovere il culo, ed elargire le sue pillole astruse anche fuori dal
lussuoso abitacolo.
Sua vittima preferita, in
queste sortite periferiche, è una bionda imbambolata, anch'ella
devota all'eloquio decerebrato, che oltre ad essere ricca sfondata è
altresì promessa sposa dell'intellettuale, e dichiara ripetutamente di
voler fare sesso con lui, senza tuttavia dar mai corso al proposito.
Staziona invece ovunque la stolida guardia del corpo del giovane
prodigio, mai doma nel segnalare, a intervalli regolari, un pericolo
incombente per la sua incolumità.
Dopo un primo tempo di
questa risma, Cronenberg, ormai sul cornicione del cupio dissolvi,
decide all'improvviso di andare per le spicce, e scioglie i pochi
interrogativi lasciati a mezz'aria facendo finalmente abbandonare a
Pattinson l'utero veicolare. Lo vediamo dunque scendere, liberarsi in
modo risibile del bodyguard (“mi dici come funziona la tua
pistola?”) ed entrare nella bottega del tonsore d'infanzia, che
riesce tuttavia a completare solo metà del lavoro, prima che
l'irrequieto si risolva ad uscire, per scoprire chi vorrebbe
ucciderlo. Due passi nella suburbia e s'imbatte, previo barbone sulle
scale, nel suo aspirante killer: un disastroso Paul Giamatti, con
asciugamano in testa stile suffumigi e arma da forze speciali in
pugno, sommerso dalla sozzura e pronto a rifargli i connotati.
Ne segue indecisa
sparatoria e, a bocce ferme, banalissimo pistolotto (in quanto tale,
la cosa più vera del film) del tipico ex dipendente licenziato per
scarsa produttività, ora nella merda, che se l'è legata al dito –
anzi all'asciugamano – e vorrebbe vendicarsi, radendo al suolo
tutto il capitalismo e i suoi più fulgidi interpreti. Pattinson, che
è in rottura prolungata da un tempo e mezzo, ha esaurito le strade
per provare qualsiasi forma di piacere e non vede l'ora che qualcuno
gli faccia saltare una volta per tutte il cranio, riesce soltanto a
creare un pre-finale sparandosi volontariamente alla mano, per poi
attendere, con vena pulsante sulla fronte, che il suo giustiziere
chiuda la scena. E noi con lui. Ma lì, a tradimento, ecco lo stacco
sul nero. Povero Cronenberg.
Note a margine:
- Decisiva (soprattutto per i nervi) la sequenza dell'indagine prostatica a bordo della limousine. Per alcuni (troppi) minuti, assistiamo nostro malgrado all'ennesimo monologo di Pattinson, reso via via sempre più faticoso dall'avanzare della mano del medico personale all'interno dei suoi visceri, fino ad appunto raggiungere la prostata. “Asimmetrica”, decreterà il luminare. Donde metafora sulla disarmonia all'origine del progressivo declino del protagonista. Vi accennerà anche Giamatti, ma con maggiore trasporto. Non viene voglia di fare verifiche sulla propria;
- Di pura tappezzeria l'atmosfera da attentato politico che aleggia nella prima parte del film: il traffico, già malmostoso, è reso impenetrabile dalla “visita del Presidente” in città. Il consequenziale caos fa da volano ai timori per la vita del magnate, esposto a una non chiara minaccia: per rendere il tutto più semplice, Cronenberg, via guardia del corpo, ci propina un video di repertorio di un agguato a un politico coreano nel corso di un talk show. La scena è tanto brutale (varie coltellate al volto) quanto ridicola, soprattutto per le leggerissime falle nel sistema di sicurezza della vittima;
- Lunghissima, e noiosissima, la sequenza della torta in faccia a Pattinson al momento di uscire definitivamente dalla vettura. Il relativo disobbediente è impersonato, purtroppo, da Mathieu Amalric, che pure indulge nell'intemerata prima di essere allontanato dalla storia e, si confida, dal set;
- Incredibile la disinvoltura con la quale il vecchio barbiere del protagonista inizia a tagliargli i capelli, senza accorgersi che il suo cliente ha mezza parte del viso incrostata di torta di panna.
Margine alle note:
Di questo film non
abbiamo capito nulla. Era una storia sul crollo del sistema
capitalistico? Sul tramonto dell'occidente? Sulla perdita di valori?
Sul sesso in limousine? Sui topi? Non sapremmo dire, ma conserviamo
una certezza: l'importante è che ci sia il sughero.
Giudizio: KKKKk
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