lunedì 16 giugno 2008

E venne il giorno

Sì, lo ammettiamo. L'abbiamo fatto. Anche se ci eravamo ripromessi di non tornare mai più a vedere un film di M. Night Shyamalan (una bambola, ovviamente indemoniata, a chi indovina la pronuncia del cognome). Avevamo abdicato dai tempi di "The Village", ma eravamo incazzati sin dai gloriosi fasti di "Unbreakable" (chiunque non detesti la pettinatura di Samuel L. Jackson in quel film ha qualcosa da farsi perdonare). E non avevamo visto le imprese di "Signs" e "Lady in the water". Ci erano bastate le critiche degli amici.
Ma l'abbiamo fatto. Ancora. Inconsciamente speranzosi che potesse ripetersi un "Sesto senso", qualcosa di attinente al noir, o mal che vada al thriller. Insomma, c'era pur sempre l'Apocalisse di mezzo, anche se il manifesto, checché ne dica Night eccetera, è identico all'idea di fondo di "The Stand", uno di quei libri scritti da Stephen King quando non era così milionario.
E ci siamo cascati. Un'altra volta. Presi all'amo dell'ennesimo pretesto, le morti senza motivo che al cinema sono un crimine, la fascinazione per l'assurdo a dispetto della storia, dei personaggi. Qualcuno spieghi a Night la sceneggiatura, possibilmente con l'ausilio di qualche spettro rompiglioni e un po'di vento, così si convince più facilmente, visto che - citando un'ottima definizione - "è un fissato del paranormale".
Orbene, siamo buoni oggi, dunque ve lo diciamo subito. Se v'interessa il film non leggete oltre, perché vi spiattelliamo la trama (?), il finto finale, e la mancanza di senso del tutto. Con insulti acclusi, come si conviene.
Siete ancora qui? Allora proseguiamo. La storia inizia con qualche pugno ben assestato. A Central Park, la gente che passeggia improvvisamente si ferma all'unisono. Nell'immobilità, una ragazza su una panchina si accorge che l'amica lettrice ragiona all'indietro. Surrealismo già visto in "Time" di Alessandro Maggia, verificate se non conoscete, che condensava il tutto in dieci minuti, essendo un corto di genere. Ma qui c'è un'ora e mezza almeno, dunque via col sangue.
La lettrice suddetta si infilza con una spilla per capelli, mentre l'amica si sta già orripilando che tutto si è bloccato senza motivo, tutti hanno perso la testa.
Capiremo subito dopo che le persone non si limitano ad arrestarsi. Si suicidano. Ognuno nei modi più acconci alla propria professione, il che è un'ode al grottesco che, lo confessiamo, ci ha parecchio divertito.
In ordine di apparizione:
- Gli operai si infortunano sul lavoro, gettandosi dalle impalcature;
- I poliziotti si sparano un colpo con la pistola d'ordinanza (poi, bella fumante, sfruttata anche dai comuni cittadini: del resto non è questo il senso di "to protect and to serve"?);
- I marines si fucilano decantando le lodi della propria arma (allo stesso modo di "Full metal jacket": Stan, scusaci tanto);
- Le vecchie bigotte si sfracellano la testa sui vetri della propria magione, a suon di preghiere e stregoneschi deliri;
- Gli altri procedono in ordine sparso: c'è chi sta fuggendo in macchina e si schianta con rincorsa contro un albero, chi, più piccino, dice alla mamma terrorizzata parole insensate al cellulare prima di tuffarsi da una finestra, chi si sdraia sull'erba saggiando di persona le virtù di una megafalciatrice.
In tutto questo, una sola scena degna di nota: gli impiccati sul vialetto di una cittadina di provincia, esposti all'improvviso allo sguardo pietrificato di alcuni fuggiaschi. Ma varrebbe di più se non fosse un saccheggio del "Sesto senso", almeno nelle atmosfere.
Per il resto. Una comica esibizione di Mark Wahlberg, nel film un didascalico professore di scienze, che sfodera immancabilmente la stessa espressione perplessa, sia che debba salvarsi da un pericolo imminente, sia che gli chiedano se gli piacciono gli hot dog. Insieme a lui, un'inquietante ragazza dalle pupille dilatate (non ricordiamo il nome dell'attrice, non chiedetecelo, ci fa paura) e un John Leguizamo totalmente fuori parte, passato dai balli luccicanti di Spike Lee alla desolazione della campagna epidemica.
Ci chiederete: e la trama? Mah. La gente prende a suicidarsi, tutto qua. Scappa (non si sa dove), finché non le arriva la tentazione definitiva. Roba deprimente, benché, per fortuna, senza troppa musica. La causa? Scartati i terroristi e le relative armi chimiche, la soluzione starebbe nelle piante, plurincazzate col genere umano, che a suon di vento sbarellano i terrestri grazie a una prodigiosa tossina emessa all'uopo.
Ciò, ovviamente, non spiega perché i protagonisti (Wahlberg e signora, più bambina degli amici resa orfana dai terribili eventi) si salvino, perché la sequela di morti autoindotte si arresti all'improvviso, perché, ancora, il tutto ricominci in altra location, a Parigi, con postilla degna dell'horror classico, purtroppo usata a sproposito, mancando una storia a giustificarla.
Nota a margine:
Non perdetevi due autentiche prodezze registiche:
1- Mark Wahlberg che parla con una pianta di plastica, pura pornografia nel senso già discusso in "Blueberry Nights";
2- Una terrificante vecchiaccia avulsa dal mondo che tiene una bambola orrenda sul letto. Mero inserto horror, ovviamente del tutto inutile. Good Night, Shyamalan.
LA SCHEDA
E venne il giorno
In una frase: "questo film l'ha prodotto Al Gore" (oppure, per i meno pacifici: "incendiamo subito la foresta Amazzonica")
Sconsigliatissimo:
a chiunque cerchi una trama, un senso, una storia. Anzi, parafrasando Vasco, un senso a questa storia.
Giudizio:
KKKk

1 commento:

Anonimo ha detto...

tutto vero, tutto giusto, però...allora è meglio alberto sordi ne "sono un fenomeno paranormale"...ve lo meritate un altro film di alberto sordi!