martedì 5 febbraio 2008

Senilità (Woody was a genius)

Lo so, Spengler vi ha ricordato che avevo promesso Apocalypto. Ma quale bassezza sarebbe deludere i nostri lettori con qualcosa di così banale come il mantenimento di una promessa? Procediamo dunque (la vita va avanti, pare) su altri binari, e vi parliamo (sì, uso il plurale maiestatis, per chi non se ne fosse accorto) di un film nuovo, appena uscito al cinema, fresco fresco di distribuzione. Ahinoi. Torna sugli schermi uno dei miei, dei nostri, autori preferiti. Allen ha sfornato, nel corso di ormai quattro decadi, gran copia di film, molti dei quali memorabili. E' stato autore, interprete, regista. Brillante, a volte insuperabile nel primo ruolo, adatto alla propria comicità nel secondo, altalenante ma capace di buone performance nel terzo. Da anni, ormai, sappiamo che l'apice della sua verve comica è passato - peccato, dato che l'aveva condotto ad essere definito (probabilmente non a torto) il maggior umorista vivente. Nondimeno, le sue opere si guardano sempre - con stima, devozione ed aspettative enormi, ormai impossibili da soddisfare. E pazienza se poi tocca tornare a casa e metter su il dvd (o la cassetta: in quanto amanti di Allen avrete anche il buon gusto di essere un po' retrò) di Manhattan per ricordarci cosa era veramente Woody.
Altra tendenza degli ultimi anni della sua produzione (ipotizzo: proporzionale all'inaridirsi della sua vena comico-umoristica) è il tentativo di invadere, esplorare altri territori rispetto a quelli già ben noti. Il nostro, dunque, non si limita a delle sortite nel tragico (già ben rappresentate nella sua carriera - vedansi Hannah e le sue sorelle e Un'altra donna), ma cerca di costruire storie morali e corali. Il risultato, quello sì, è tragico. Esempio perfetto la pellicola attualmente sugli schermi: Sogni e Delitti (ma il titolo originale è meglio: Cassandra's Dream). Premettiamo: non ci era piaciuto, decisamente no, nemmeno Match Point. Dostojevski (o Dostoesvij, o come diamine volete trascrivere il suo nome) riletto in chiave fighetta e spoglia, delitto senza castigo non ci entusiasmano. Ed il protagonista (per la cronaca: Jonathan Rhys Meyers) ci stava decisamente sulle palle. Eccellente il decolletè della Johansson, certamente, ma poco altro. Ed il sospetto che Allen regista non avrebbe mai più raggiunto le vette (non assolute, ma nemmeno disprezzabili) degli anni d'oro - diciamo i '70. Ci siamo risparmiati il passo successivo (Scoop) solo per cadere, stavolta, in una trappola ben peggiore - della precedente, e di quanto fosse lecito temere. Non tanto per colpa degli interpreti. McGregor, che pure agli esordi non dispiaceva, ha evidentemente smarrito le doti attoriali da qualche parte lungo la Galassia Lontana Lontana, combattendo contro l'Impero del Male. Farrell, simpatico manzo con unica espressione sconfortata (sopracciglia che si innalzano all'unisono al centro della fronte, molto intenso), ce la mette tutta. Ma ne han ben poca. 6 per la buona volontà, sul resto tacciamo (e, tacendo, ci domandiamo se si possa parlare di un passo avanti rispetto ad Alexander, allorquando il buon Colin si faceva notare soprattutto per la disinvoltura con cui portava la ricrescita sotto la tinta bionda). Il resto del cast è puro contorno - e passi, soprattutto per Hayley Atwell (bona, si! - il logorio dell'età non impedisce al sig. Konigsberg di mantenere un valido occhio da maiale) che almeno è bella da vedere e per Tom Wilkinson che almeno è bravo.
Però è sconcertante come tutti i personaggi entrino ed escano dalla storia in modo impalpabile, diafane ombre funzionali più ad una scena che ad un costrutto ampio ed articolato (i genitori dei due bellocci - ancorchè imbolsiti assai - protagonisti, ad esempio, transitano saltuariamente sullo schermo salvo poi scomparire quando hanno esaurito la funzione). Le interpretazioni sono appiattite, e verrebbe da pensare che sia una scelta autoriale, tesa - appunto - a puntare sulla coralità e non sulle singole performance. Sventuratamente, piatta è pure la regia. E piatta è la sceneggiatura. Ci viene suggerito che potrebbe trattarsi di una scelta tesa alla mimesi della banalità del quotidiano. Per amor di patria ammettiamo possa essere vero, ma senz'altro non è scusa sufficiente per le innumere mancanze del film. Troppo teatrale per essere realista, troppo piatto per incidere, prevedibile e scontato, riesce a calare nel secondo tempo (ed è un'impresa, visto il primo). Si finisce con l'impressione che Farrell abbia davvero deciso, strada facendo, di attaccarsi alla bottiglia, onde scordarsi del pasticcio in cui si era imbarcato. Che McGregor abbia definitivamente perso quel poco di forma giovanile - se imbolsisce con costanza, tra qualche annetto potrebbe uscirne un discreto Nero Wolfe - nel fisico, soprattutto, ma anche nella recitazione. Che Allen non può tornare ai suoi livelli storici nella commedia, ma non deve in alcun modo perseverare in questa via perniciosa. Che la Johansson gli abbia tirato un memorabile pacco per il ruolo della fidanzata di Colin - la ragazza deve aver fiutato l'aria, brava lei. Soprattutto, che ci abbiano fregato 7 euro e 50, ed un altro po' dell'idea che abbiamo noi di Woody the genius.

LA SCHEDA

Sogni e Delitti

In una frase: "Non c'è niente, non c'è niente, non c'è niente..." (ad libitum)
Sconsigliatissimo: a chi ride per Amore e Guerra, apprezza anche Settembre, rivorrebbe tanto Annie Hall, e persino a chi è piaciuto Match Point. Insomma, a tutti. E soprattutto ad Allen. Mai più, Sam.
Giudizio: KKKk (perchè è Woody, sennò...)

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