venerdì 15 febbraio 2008

30 giorni di buio - 30 (o poco più) secondi di recensione

Banale. Senza tensione: peccato mortale, in un racconto che avrebbe potuto esser buono, altrimenti. Non fa paura, non fa granchè schifo. Scena finale pessima. Se Hartnett ha deciso di bruciarsi la carriera, che ce lo dica e ci risparmi tempo. I vampiri noi li preferiamo in chiave romantica. I film sui pochi eroi isolati contro i mostri li ha già fatti Romero. Questo, doveva rimanere un fumetto. E risparmiateci le storie d'amore finite ma riprese ma impossibili ma eccetera. Che palle.

LA SCHEDA

30 giorni di buio

In una frase: "'Date fuoco alla città!', lo dico dall'inizio del film!"
Sconsigliatissimo: a chi volesse un brivido. A chi ama le storie di vampiri. Pure alle fanciulle che si volessero godere l'attor giovine. Vedetevi Slevin, è meglio.
Giudizio: KK (non vi meritate nemmeno i Kevin)

INTO THE WILD - Storia di un giovane che sente l'urgenza di andarsene. E se ce lo mandassimo noi?

Vorrei essere sottile, circonlocutorio, ironico più che mai. Ma ho appena aperto una busta paga, e le trattenute IRPEF fanno passare la voglia - riportano, in compenso, a galla la commistione tra sconcerto e rancore (entrambi legittimi) suscitati dal giovine protagonista della nuova pellicola firmata da Sean Penn. Ma andiamo con ordine.

Ingrifati non poco da una serie di fattori - nome del regista (anche se, va detto, più che altro affascinante per il personaggio e l'attore che è), trailer (troppo facile farne di buoni, dovremmo sempre ricordarcelo), l'immaginario del viaggio che sempre ci conquista (troppo facile anche questo, avete ragione) - ci rechiamo infine, dopo diversi tentativi sfumati, al nostro multisala preferito (sempre amare la decadenza!) per gustarci Nelle Terre Selvagge. A proposito: sorprendente come i distributori italiani riescano con puntualità robotica a tradurre i titoli che meriterebbero di esser lasciati in originale e viceversa. Ma transeat. Il film si propone come un rischio, una sfida: due ore e mezza possono essere fonte di grande soddisfazione, se siamo non si dica al capolavoro ma a livelli comunque alti. Possono pure, però, trasformarsi in una sofferenza indicibile. Armati di tutto il nostro coraggio (cinematografico), di grandi aspettative e della fiducia ispirata dalle poltrone del multiplex in questione (ci si dorme non malaccio, volendo), partiamo all'avventura.

Lo stesso dicasi per il protagonista del film: Emile Hirsch (che un link NON se lo merita), giovane ed aitante (aitante? spero lo abbiano ingrassato per la prima metà del film, altrimenti suggerisco di tagliare i MacDonald's) attorino che impersona un ragazzo, un neolaureato, un sognatore ribelle fuggitivo. Un essere umano che cerca la fuga da altri esseri umani, in primis la famiglia e le relative insopportabili costrizioni. Mentre ve ne state ad ammirare (si fa per dire, molto) la prima metà del film, vi prospettate quasi un romanzo di formazione, un racconto con toni zingareschi (e sperate in Kusturica, ma sperate male), una serie di avventure forse non destinate a procurarvi profonde riflessioni sulla vostra vita ma divertenti, varie, piacevoli. Che qualcosa non vada lo potreste subodorare: anzitutto la narrazione alterna flashback di questo attraversamento - piuttosto disordinato, ma l'avventura prima di tutto - di parte del nordamerica con il racconto di quanto accade al termine del pellegrinaggio, in Alaska. In secondo luogo, di quando in quando fa irruzione la voce della sorella del ragazzo, che racconta, seguendo la cronologia del flashback, la crescente preoccupazione, infine disperazione, per la sua scomparsa - il debosciato ha, infatti, deciso di far perdere le proprie tracce al mondo intero, principiando con la famiglia. Dove son finiti i valori, mi domando! Terzo: il fancazzista in questione, dopo aver regalato a qualche - sicuramente losca - associazione benefica i 24000 dollaroni residui del suo fondo per gli studi, fatto a pezzi i propri documenti, abbandonato l'auto in preda ad un'inondazione e bruciato gli ultimi soldi, non contento di essersi trasformato in un essere lurido fin nelle ossa (memorabile scambio di battute con un amabile vecchietto che sarà, più tardi, maltrattato dal giovine delinquente: "vivo qui per mia scelta" "nella sporcizia?") decide di darsi un nome d'arte in qualità di vagabondo. E sceglie Alexander Supertramp. E voi capite che deve schiattare, gli sta troppo bene. Quarto ed ultimo (per pietà, potrei proseguire): avete un comodo accesso internet, oltre che innumerevoli altre fonti di informazione, e sapete che il furbone alla fine muore eccome, deo gratias. Tutto ciò provoca un crescente senso di inquietudine, che però rimane latente nel primo tempo.
Nel secondo il tutto deflagra. Da un lato Penn perde il controllo della situazione, rincorre soluzioni stilistiche anni '60 senza saperle gestire e fa dilagare l'immaginazione sulle avventure (particolarmente sui pensieri) del giovinastro. D'altro canto emerge un dato ormai incontrovertibile: l'imberbe fesso è una specie di saccente, arrogante, presuntuoso guru del cavolo. Si crede e si atteggia ad illuminato, a momenti sembra un angelo o un messia, un rivoluzionario, qualcuno che ha compreso, trovato la verità in sè e nei propri libri (ma poi, ma quando mai Jack London voleva lanciare il messaggio di lasciare tutto e tutti per andare a vivere nei boschi? ma per favore!). Peccato - per lui, e per noi finchè non paga il giusto fio - che sia invece un solenne pirla. Al fine di sintetizzare, illustriamo con il suo ultimo, illuminante pensiero: "la bellezza è reale solo se condivisa". Ora, pur viaggiando in modo convenzionale, non avventuroso e/o cencioso, qualche fuggevole scorcio di mondo l'abbiamo visto anche noi. Abbiamo avuto la fortuna di condividere queste esperienze, il che le ha rese ancor più memorabili. E ce ne rendevamo conto mentre le vivevamo, pensate un po'! Al simpatico (come una colica renale, all'incirca) Alexander Supertramp invece necessita un giro per metà USA (e persino in Messico!), fatto di camminate, autostop, kayak, campeggio, sozzura, lavori improvvisati, abbandono di tutti i beni materiali salvo un paio di occhialini da secchione, durato due anni e terminato (il viaggio ed il suo protagonista, all'unisono) con due mesi di sofferenze in Alaska per comprendere. Una domanda, però, si staglia su tutti gli altri pensieri. Perchè, ma perchè, in nome di ogni divinità possiate voler invocare, il cretino, dopo aver tranciato tutti i propri documenti di identità, bruciato denaro, ucciso di frodo animali, partecipato ad un'interminabile teoria di attività illegali, valicato senza permesso (nè, ovvio, documenti) in due sensi il confine USA-Messico, perchè diavolo si rifiuta di accondiscendere alla profferta amorosa di una giovane, bellissima fanciulla (per di più impegnata song-writer) con la motivazione che è "troppo giovane"? Come lo apostrofa un più anziano (e saggio) amico hippy: "quella povera ragazza è lì che si farebbe un palo della recinzione, e tu sei qui che ti fai gli addominali dell'asceta". Il palo della recinzione va usato in un solo modo. Sul protagonista.

LA SCHEDA

Into the Wild - Nelle Terre Selvagge


In una frase: "Penn non sa cosa sia successo realmente. Anzi, probabilmente non sapeva mai cosa stesse succedendo."
Sconsigliatissimo: a chi si aspetterebbe riflessioni, bellezza, passione per il viaggio, amicizia, conoscenza. E pure a chi si ritiene di essere il solo fulcro del mondo, come Alex Supertramp. Statevene a casa, no?
Giudizio: KKKk (perchè le immagini di viaggio ci piacciono sempre, e per limitare un po' il rancore, non si sa mai che dovessimo reincarnarci in un americano pirla)

sabato 9 febbraio 2008

Scusa ma ti chiamo amore - Il trailer

Scusa ma non ti chiamiamo autore, Federico Moccia, anche se non abbiamo letto una riga dei tuoi libri, che ci è bastato l’estratto: "bacio sull’onda", "bacio non si può", "bacio c’è gente", cosa mai significa "bacio c’è gente"? Ma perché non ti hanno assunto a Cosmopolitan, a Grazia, a Donna moderna, condannandoti al gossip, alle rubriche di moda, o semplicemente alle didascalie? E ti hanno perfino promosso regista, che per qualcuno questo sarebbe addirittura il tuo “esordio”, ma noi ben ci ricordiamo, Federico Moccia, di un’altra impresa leggendaria, "Classe mista terza A", il previous movie (?) da te diretto, col ciccione interrogato che diceva: “l’infinito di Leopardi? leopardare”. L’hai scritta tu, Moccia, questa perla? questa battuta che fa il paio con la pioggia di lucchetti a Ponte Milvio, che li tagliassero di nuovo, e crollassero i lampioni sotto il peso dei lucchetti, e crollassero anche i ponti, Step dopo Step (a proposito che bel nome, Step, per un protagonista, che neanche fosse un cane, ma tanto l’importante è che sia inglese, adolescente e appiccicoso) ma pietà per gli Scamarcio, pietà per i Raul Bova, pietà per tutte le Michele Quattrociocche, Quattromoccie di questo mondo, così Moccioso, pieno d’inflessioni romanesche che già “non è la RAI”, così ricco di momenti da cornetto Algida, che al confronto Stefano Accorsi e Cristiana Capotondi sono intellettuali, così fortunatamente breve, perché si tratta pur sempre di un trailer, che nel pastone cinematografico di questi giorni precede, come una nemesi, la reclame di "Caos Calmo" e quel simpatico accompagnamento easy in sottofondo che ci riconcilia col cinema, Isabella Ferrari e il mondo, anche se non andremo a vedere nemmeno quello, e non ci si provi, Pino Quartullo, che bastava continuasse a doppiare Jim Carrey, a dirci che nell’impresa mocciana c’è pure lui: perché, piuttosto che vederlo, scusa ma ce ne andiamo altrove.

LA SCHEDA

Scusa ma ti chiamo amore - il trailer

In una frase: "Ciao, sono Niki"
Sconsigliatissimo:
a tutti, a tutti.
Giudizio:
KKKK (è un'invettiva, voi capite)

martedì 5 febbraio 2008

Senilità (Woody was a genius)

Lo so, Spengler vi ha ricordato che avevo promesso Apocalypto. Ma quale bassezza sarebbe deludere i nostri lettori con qualcosa di così banale come il mantenimento di una promessa? Procediamo dunque (la vita va avanti, pare) su altri binari, e vi parliamo (sì, uso il plurale maiestatis, per chi non se ne fosse accorto) di un film nuovo, appena uscito al cinema, fresco fresco di distribuzione. Ahinoi. Torna sugli schermi uno dei miei, dei nostri, autori preferiti. Allen ha sfornato, nel corso di ormai quattro decadi, gran copia di film, molti dei quali memorabili. E' stato autore, interprete, regista. Brillante, a volte insuperabile nel primo ruolo, adatto alla propria comicità nel secondo, altalenante ma capace di buone performance nel terzo. Da anni, ormai, sappiamo che l'apice della sua verve comica è passato - peccato, dato che l'aveva condotto ad essere definito (probabilmente non a torto) il maggior umorista vivente. Nondimeno, le sue opere si guardano sempre - con stima, devozione ed aspettative enormi, ormai impossibili da soddisfare. E pazienza se poi tocca tornare a casa e metter su il dvd (o la cassetta: in quanto amanti di Allen avrete anche il buon gusto di essere un po' retrò) di Manhattan per ricordarci cosa era veramente Woody.
Altra tendenza degli ultimi anni della sua produzione (ipotizzo: proporzionale all'inaridirsi della sua vena comico-umoristica) è il tentativo di invadere, esplorare altri territori rispetto a quelli già ben noti. Il nostro, dunque, non si limita a delle sortite nel tragico (già ben rappresentate nella sua carriera - vedansi Hannah e le sue sorelle e Un'altra donna), ma cerca di costruire storie morali e corali. Il risultato, quello sì, è tragico. Esempio perfetto la pellicola attualmente sugli schermi: Sogni e Delitti (ma il titolo originale è meglio: Cassandra's Dream). Premettiamo: non ci era piaciuto, decisamente no, nemmeno Match Point. Dostojevski (o Dostoesvij, o come diamine volete trascrivere il suo nome) riletto in chiave fighetta e spoglia, delitto senza castigo non ci entusiasmano. Ed il protagonista (per la cronaca: Jonathan Rhys Meyers) ci stava decisamente sulle palle. Eccellente il decolletè della Johansson, certamente, ma poco altro. Ed il sospetto che Allen regista non avrebbe mai più raggiunto le vette (non assolute, ma nemmeno disprezzabili) degli anni d'oro - diciamo i '70. Ci siamo risparmiati il passo successivo (Scoop) solo per cadere, stavolta, in una trappola ben peggiore - della precedente, e di quanto fosse lecito temere. Non tanto per colpa degli interpreti. McGregor, che pure agli esordi non dispiaceva, ha evidentemente smarrito le doti attoriali da qualche parte lungo la Galassia Lontana Lontana, combattendo contro l'Impero del Male. Farrell, simpatico manzo con unica espressione sconfortata (sopracciglia che si innalzano all'unisono al centro della fronte, molto intenso), ce la mette tutta. Ma ne han ben poca. 6 per la buona volontà, sul resto tacciamo (e, tacendo, ci domandiamo se si possa parlare di un passo avanti rispetto ad Alexander, allorquando il buon Colin si faceva notare soprattutto per la disinvoltura con cui portava la ricrescita sotto la tinta bionda). Il resto del cast è puro contorno - e passi, soprattutto per Hayley Atwell (bona, si! - il logorio dell'età non impedisce al sig. Konigsberg di mantenere un valido occhio da maiale) che almeno è bella da vedere e per Tom Wilkinson che almeno è bravo.
Però è sconcertante come tutti i personaggi entrino ed escano dalla storia in modo impalpabile, diafane ombre funzionali più ad una scena che ad un costrutto ampio ed articolato (i genitori dei due bellocci - ancorchè imbolsiti assai - protagonisti, ad esempio, transitano saltuariamente sullo schermo salvo poi scomparire quando hanno esaurito la funzione). Le interpretazioni sono appiattite, e verrebbe da pensare che sia una scelta autoriale, tesa - appunto - a puntare sulla coralità e non sulle singole performance. Sventuratamente, piatta è pure la regia. E piatta è la sceneggiatura. Ci viene suggerito che potrebbe trattarsi di una scelta tesa alla mimesi della banalità del quotidiano. Per amor di patria ammettiamo possa essere vero, ma senz'altro non è scusa sufficiente per le innumere mancanze del film. Troppo teatrale per essere realista, troppo piatto per incidere, prevedibile e scontato, riesce a calare nel secondo tempo (ed è un'impresa, visto il primo). Si finisce con l'impressione che Farrell abbia davvero deciso, strada facendo, di attaccarsi alla bottiglia, onde scordarsi del pasticcio in cui si era imbarcato. Che McGregor abbia definitivamente perso quel poco di forma giovanile - se imbolsisce con costanza, tra qualche annetto potrebbe uscirne un discreto Nero Wolfe - nel fisico, soprattutto, ma anche nella recitazione. Che Allen non può tornare ai suoi livelli storici nella commedia, ma non deve in alcun modo perseverare in questa via perniciosa. Che la Johansson gli abbia tirato un memorabile pacco per il ruolo della fidanzata di Colin - la ragazza deve aver fiutato l'aria, brava lei. Soprattutto, che ci abbiano fregato 7 euro e 50, ed un altro po' dell'idea che abbiamo noi di Woody the genius.

LA SCHEDA

Sogni e Delitti

In una frase: "Non c'è niente, non c'è niente, non c'è niente..." (ad libitum)
Sconsigliatissimo: a chi ride per Amore e Guerra, apprezza anche Settembre, rivorrebbe tanto Annie Hall, e persino a chi è piaciuto Match Point. Insomma, a tutti. E soprattutto ad Allen. Mai più, Sam.
Giudizio: KKKk (perchè è Woody, sennò...)

venerdì 1 febbraio 2008

Tetrospettive: Ti lascio, ti odio, ti...

Lo so, Stantz vi aveva promesso "Apocalypto", ma è ancora troppo impegnato a rielaborare il lutto per la morte del giaguaro (anzi, dello stuntman travestito da giaguaro) nella scena-clou dell'opera per recensire a dovere. Dunque ci intromettiamo, inaugurando così la rubrica delle tetrospettive (per intenderci: film non solo brutti, ma anche vecchi), per parlare di un altro spreco di pellicola di alcuni mesi orsono: "The Break Up", tradotto rovinosamente in italiano col titolo "Ti lascio, ti odio, ti...". Sostituite pure i puntini con una minaccia a caso, ed avrete la nostra idea sull'opera.
Perché non è credibile che una ragazza come Jennifer Aniston (premettiamo che ci piace Jennifer Aniston: è magra, spigolosa, non bellissima, perfetta come finta intellettuale) pianga tutte le sue lacrime per uno come Vince Vaughn, che passa le sue giornate sul divano a duellare col cretino di turno a una variante poor della playstation. Non è credibile che dopo avergli giustamente dato del coglione in apertura di film non decida di lasciarlo e trasferirsi da mamma e papà e/o amica e/o nuovo drudo a scelta, ma insista a condividere con lui la magione. Nemmeno è credibile, fra l'altro, che il suddetto impieghi quasi un'ora e mezza per scusarsi del suo comportamento (anzi del suo ruolo) intollerabile, a ciò indotto dalla filosofia da bar dell'ennesimo amico del cuore obeso, di cui certo non si sentiva la mancanza.
Potremmo, sì, soprassedere su molti aspetti irritanti: il plagio del gay da galleria d'arte da "Beverly Hills Cop" (e volendo, pure della pittrice vaginale del "grande Lebowsky", qui soltanto pittrice, monologhi a parte), gli spasmi della sceneggiatura che inventa (?) addirittura un gioco di società come ulteriore occasione di litigio, quasi non fosse chiara l'antifona, il definitivo oblio di Vincent d'Onofrio, che dopo Palla di Lardo, Orson Welles e l'alieno scemo, è finito ad interpretare un contabile con turbe nascoste. Potremmo, ma non lo facciamo. Perché in questo film non si ride mai. Mai. E per fortuna che è catalogato come 'commedia', con due attori scafati nei ruoli brillanti, e gli opportuni cliché di complemento.
Ma ecco, dopo un centinaio di minuti passati a sentire dialoghi piatti, assenza totale di storia, isterie da coppia che attende, in agonia, di scoppiare, l'unico rammarico è di aver sperato in una battuta valida. Non si capisce dunque perché Jennifer Aniston si sia tanto adirata per la diffusione del suo topless nella scena in cui, per distrarre - beata lei - il bovino, passeggia nuda per la casa, senza peraltro distoglierlo dalle sue fondamentali occupazioni col joypad. In definitiva, è l'unico motivo di notorietà di un'operazione scialba, banale e fasulla. Aridatece Ben Stiller e Owen Wilson. Anzi, aridateli a Vaughn, e tiratelo su da quel cazzo di divano.
LA SCHEDA
Ti lascio, ti odio, ti...
In una frase: "Io voglio che tu voglia lavare i piatti"
Sconsigliatissimo:
a chi vuole ridere, a chi vuole piangere, a chi vuole restare serio senza covare una rabbia sorda.
Giudizio:
KKK