domenica 12 agosto 2012

COSMOTOPONI - UNA LETTERA RECENSIONE (che avevo in canna da un po', ma le imprese di Josefona Idem mi distraggono sempre)

Premessa: avevo intrattenuto uno scambio e-pistolare riguardo a questo film. Ho deciso, come sempre per ragioni di (dis)servizio pubblico e di privatissimi onanismi, di farne recensione. Sfaticato come di consueto (è un credo, sia chiaro) opto per un riciclo parziale di cose già scritte. Per rispetto di punti di vista e diritti altrui non includerò l'intero carteggio: mi limiterò a dar voce alla mia insoddisfazione sotto forma di letterina a D. Cronenberg. Risentita, come si conviene.

Caro David,

posso chiamarti David, vero? Dopo tanti tuoi film visti mi sento quasi di conoscerti. Perlomeno, questo pensavo finché non ho avuto la terribile idea di recarmi con amici a vedere l'ultima tua opera. Premetto subito la sola scusante possibile: dato che vivo, disgraziatamente, in Italia, mi son visto costretto alla versione doppiata di Cosmopolis. Può darsi che, nel processo, si siano persi poesia, profondità, efficacia e senso del ridicolo presenti nell'originale. Se così fosse, mi dovrei onestamente lamentare un po' meno. Avrei comunque voglia di prenderti sotto con la macchina, ma con minor rancore; non so se mi spiego. Ciò detto, permettimi di rubarti un po' di tempo con una sincera disamina del tuo ultimo prodotto. Ho visto il tuo film, dicevo, in compagnia di due amici (uno dei quali, indovina?, è il coautore del blog: avrebbe due parole da dirti pure lui). Ho rischiato il linciaggio a metà proiezione, stante che la proposta era venuta da me. Poi le opinioni divergevano, come giusto: c'è chi pensa che si sia parzialmente riscattato nel finale, ma non abbastanza per salvarsi. Per me, invece, il finale è intollerabile. Mi risulta banale in modo agghiacciante. Rewind.

Avevo sopportato la prima metà (abbondante) nonostante un macroscopico difetto: c'è chi lo ha definito "irto di parole" ma, ammettiamolo, è verboso oltre la decenza.
Capisco bene che additare altri per questo crimine essendo io stesso uno che, non a torto peraltro, è stato accusato più volte di essere orrendamente prolisso possa suonare perlomeno ipocrita. Però io non faccio cinema. Avevo detto, prima di vedere Cosmopolis, che “di Cronenberg temo le ossessioni nei contenuti e non nella forma” (vedi? Parlo di te con rispetto e con la sensazione di conoscerti, perlomeno attraverso le tue creazioni).
Perché c'erano contenuti (almeno, a mio modo di vedere), espressi tramite una forma estremizzata. Qui francamente mi sembra che la forma sia la sola cosa, o quasi. E, laddove di solito tu metti in scena violenza, mutilazione, mostruosità, qui stai perpetrando una violenza sullo spettatore. Non gradisco così tanto, per essere sincero. Borges sosteneva che fosse ridicolo e stupido spendere 500 pagine per una storia che si poteva ben accomodare in 20 righe, e perciò non scriveva romanzi. Estremismo, chiaro, e probabilmente ce lo si può permettere solo se si è Jorge Luis Borges (io so bene di non stare a quell'altezza, credimi lo so e non è per la presunzione folle di esser migliore di te che ti dico quel che ti sto dicendo: è per vero affetto, è per la speranza che non ti capiti più di mettere il bel faccione - senza naso, ma bello, lo ammetto - di Pattinson su locandina e perennemente su schermo e pensare che tanto basti a fare un film).

Estremismi o meno, i pipponi al cine mi risultano indigeribili. Quando poi sono vomitati in modo del tutto atono e privo di passione (ancora: magari in inglese, però mah) per oltre un'ora, si raggiunge un limite pericoloso. Detto ciò, cercavo di farmi portare, di scovare angolature, di trovare una via mia a questo film, a questo libro che non ho letto ma oramai ho ascoltato per intero (domanda: ti piacciono gli audiolibri? A me: no, per niente. Ed allora perché ne ho dovuto sorbire uno al cinema?). Mi rendevo conto che, normalmente, le scelte estetico/stilistiche col marchio Cronenberg risultano fastidiose a molta utenza ed invece per me sono in primo luogo interessanti, stimolanti. Qui ero infastidito io: e passi, può far parte di un processo, di un modo di comunicare – ed anzi era una sensazione nuova e per questo in qualche modo mi intrigava. Il problema è che, stavolta, mi annoiavo abbastanza.
E non bastano due scene di sesso con non-tanto-giovani e parecchio sbaldraccanti attrici (ma la Binoche, quella che si mette a saltare sulle cosce dell'ex vampiro con finto entusiasmo e urlacchiando malamente, non era un'attrice? E poi, su, “sono una donna di 41 anni”? Davvero?) per destarmi; tantopiù che sono pura noia del protagonista (si vorrebbe fottere l'unica giovane del film, peccato che sia tinta, frigida e – soprattutto – sua moglie). Ah, già, c'è poi la scena dell'invasione anale da parte del manone guantato del dottore. Grazie, David: non ero abbastanza preoccupato all'idea di un esame della prostata. Sgradevole, la scena, ma passi. Il delitto non è nell'inquadratura sudaticcia (a proposito: tutte con telecamera fissa o quasi, queste scene di sesso: ti annoi, David? Non ti ecciti più? E se è così: perché lo vuoi far scontare ai tuoi affezionatissimi spettatori?), è nello scambio di battute. Il 28enne bello e ricco, nudo e con la mano di un estraneo su per il culo, ansima, contorce il viso, suda. A 10 centimetri 10 dalla faccia di una giovane in tuta, pre-sudata (stava facendo jogging nella sua unica giornata libera del decennio), che riprende a traspirare ed accartoccia senza pietà a più riprese la bottiglia d'acqua stretta tra le cosce possenti. Abbastanza chiaro il messaggio? Evidentemente no, dato che ci tocca sentire il Pattinson in versione delucidatore “E' tensione sessuale, stai stropicciando la bottiglia perché blablabla”. Eccheccazzo. Avrei dovuto capirlo qui, dove si andava a finire. Ed invece quasi ti credevo, ero propenso a darti altre chance: la prima parte mi aveva, tutto sommato, fatto sorridere con almeno un paio di boutade talmente risibili da non poter essere prese sul serio (almeno per me, altri dissentivano in modo anche marcato, ed assai incazzato: non voglio fare la spia, David, ma c'è chi proprio ti ha insultato ed accusato di prenderti orrendamente sul serio, anche di fronte ai totem di rattoni agitati dalla folla che assalta limousine, ai giovani miliardari che videogiocano tutto il tempo, a quelli che vogliono attraversare New York – lo sappiamo tutti che è NY, si può dire, vero? - intasata dalla visita del Presidente e sotto assedio rivoluzionario per farsi rifare i capelli). Il mostro del mondo moderno, tutto sommato, si può ben rappresentare così (rimango del parere che si dovrebbe usare circa un decimo delle parole, ma sorvoliamo). Però il finale, il finale con l'alternanza tra la (finta, stupida e non credibile) mattana di Suor Giamatti ("se anche ci fosse solo un fungo tra le mie dita dei piedi che mi dice di ucciderti io lo dovrei fare" - ma scherziamo?) e le rivelazioni; l'apologo del cazzo col poveraccio, il proletario che vuole vendetta contro l'onnipotente che ha distrutto il mondo e però si sente rispondere (legittimamente) "ma se fino a ieri non ti interessava niente dei tuoi simili?" - e poi ancora lo spiegone della prostata asimmetrica come metafora del mondo asimmetrico, dell'imprevedibilità come parte del sistema, ecco tutto questo ho trovato pedante ed insopportabile. Perché è banale, scontato, non interessante. La prima metà mi può aver dato fastidio, ma almeno non mi ha trattato come un infante ("patronize", vorrei usare il verbo inglese). Il finale l'ho, semplicemente, odiato. Se devi fare 1h40m di parole parole parole per smembrare il mostro della modernità non puoi, semplicemente non puoi in chiusura venirmi a fare il riassuntino, la spiegazione, il consolante finale. Packer, alla fine, si sarebbe dovuto sparare in bocca, altro che in mano. Avrebbe risparmiato al tuo affezionatissimo (ed a se stesso, "quanto odio dover ragionare") dieci minuti conclusivi di incazzatura, e magari sarei tornato a casa col dubbio che lo sfacelo della prima metà, il disfacimento del mondo dei ricchi, i toponi giganti, le prostate invase e le mogli frigide rimpiazzate per una sveltina avessero un senso. Come provocazione, come descrizione (inevitabilmente) malata di una malattia, come ossessione e come resa al fatto che, secondo categorie classiche ed inadeguate al tempo che viviamo, nulla ha più coesione o struttura.
Dopo lo spiegone, mi sento francamente insultato.

Ah, quasi dimenticavo, ho un'ultima perplessità: ma il fatidico barbiere (infine raggiunto, oh gioia!) è cecato o solo rincoglionito? No, perché, a parte il fatto che non s'accorge di nulla, totalmente impermeabile al mondo esterno, al disgraziato riccone dal muso piatto (dopo averlo anestetizzato con bordata di melanzane ripiene dirette dal frigo) infligge un taglio di capelli luttuoso. Va bene che il cliente se ne va a metà dell'opera, ma quella metà (aridaje coll'asimmetria) è giusto un filo meno orrenda di quello che si otterrebbe con una sana spruzzata di napalm. Va di moda nel Bronx, dice.

Scusa la prolissità mia, mi son sfogato.

Tuo,

Ray

ps: forse il fatto che diversi spettatori dissentano (anche profondamente) su dove stia il problema è segnale che, comunque, questo film in qualche modo riesce a smuovere, a scomodare. Non so, forse ci ripenserò. Ma dubito che cambierò idea. Nel dubbio: vaffanculo, David, non mi chiamare più.

LA FRASE: quella del fungo tra le dita dei piedi che dice alla suora barbuda di sparare al ricco, dai, è ovvio, staremo mica a discutere?
SCONSIGLIATISSIMO: a chiunque non soffra di insonnia terminale, e non abbia un feticcio per le invasioni anali.
 GIUDIZIO: KKKK