martedì 18 gennaio 2011

A grande richiesta: The tourist


Non era quello che volevamo scrivere, sembrava troppo banale e scontato. Soprattutto, non ci era dispiaciuto così tanto. Ma non c’è amico, conoscente o sconosciuto che non ci fermi per la strada e dica: “'The tourist' fa schifo”. Allora, appare pressoché inevitabile parlarne. Male, ovviamente. Perché, intendiamoci: così brutto forse no, ma bello nemmeno. E con un sacco di spunti che sarebbe un peccato trascurare.
Patti chiari, però: non di recensione si tratta, ma di semplice commento. Perché qui non si scrive a richiesta ma per missione. Se no che rubrica di servizio è?
Dunque, dicevamo: "The tourist". Anzitutto, è una spy-story, gusto retrò, protagonisti glamour. Perfetta per gli anni ’50, non eccessivamente modernizzata dal cast. Funziona nei limiti in cui, come tutti i film di questo tipo. E, botteghino a parte, dispiace sicuramente di più agli spettatori italiani (veneziani in particolare) perché, as usual, sfrutta a man bassa la location, senza preoccuparsi troppo della verosimiglianza, come del resto sarebbe avvenuto, mezzo secolo fa, con qualsiasi scenografia cartonata.
Ecco, il cartone. Ce n’è parecchio in questo film, a cominciare dai ristoranti: chi ha mai rivenduto come specialità tipica di Venezia il risotto scampi e champagne? E se si può convenire sul fatto che far masticare ad Angelina Jolie risi e bisi non sia il massimo dello chic, tuttavia nessuno ha chiesto al regista Florian Henckel von Donnersmarck (che, sembra incredibile, ha diretto un capolavoro come "Le vite degli altri") di ambientare le sue sparatorie in laguna. E ancora: i treni. Un incubo ricorrente di tutta la parte iniziale dell’operazione. Prima si ode una voce minacciosa che, in una stazione deserta, farnetica all’altoparlante di un improbabile locale in arrivo da Domodossola, poi si spaccia la panzana che, guardando dal finestrino poco prima di arrivare a Venezia, si può scorgere la sfolgorante campagna toscana (a occhio e croce, un espediente cinematografico per evitare di riprendere Dolo e Mirano).
In compenso, soccorrono gli attori. Johnny Depp, che ha stranamente accumulato due palle da tennis al posto degli zigomi (ma non è botox, solo grasso), e la già ricordata signora Pitt, qui a proprio agio nella parte di chi non deve chiedere, non deve eccedere, non deve interpretare. Ah, magari troppo magra (ma probabilmente per renderla complementare all’imbolsito protagonista).
C’è anche, benché non valga la pena eccitarsene, una masnada di attori italici, adeguatamente cartonati per l’occasione. Neri Marcorè nel ruolo di concierge-cliché, Christian De Sica in quello di ispettore corrotto (un sorta di neorealismo al contrario) e naturalmente Nino Frassica in abiti poliziotteschi, che almeno nel doppiaggio si esibisce in una chicca assoluta: con Depp su un cornicione in fuga dai cattivi, lo esorta con piglio da “Quelli della Notte”: “No butt!”. E Hollywood è servita.
Il resto: senz’altro qualche attore italiano a noi non noto e qualche buco di sceneggiatura segnalatoci a posteriori: una barca crivellata di colpi che prodigiosamente si ripara nella scena successiva, Angelina che scende in coperta col buio ed esce, subito dopo, nella luminosa alba veneziana, nonché il clou, che invece ricordavamo anche noi, cioè il supersonico viaggio Giudecca-aeroporto by boat in trenta secondi scarsi. Roba da teletrasporto.
Direte: e la storia? Beh, il film l’avete visto, non serve rovinarvi la trama svelandovi che l’uomo misterioso che dirige le mosse della Jolie è in realtà Johnny Depp, che è quindi la stessa persona che lei incontra apparentemente per caso in treno e accompagna a Venezia, di cui si innamora, eccetera eccetera. Il trucco si capisce con almeno mezz’ora d’anticipo sui titoli di coda, e fa meravigliosamente parte dell’inutile insieme.
Quanto ai Kevin, invece, dovete ripassare tra qualche giorno. C'è Clint Eastwood nelle sale.

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