Finalmente un film che parla di un attentato. Finalmente un thriller politico in cui la verità non è quella che sembra. Finalmente una teoria cospirativa.
Perché avevamo ancora bisogno di talpe. Di kamikaze. Di sosia con la faccia del Presidente degli Stati Uniti d'America. Avevamo ancora bisogno del budget, del montaggio adrenalinico, della messinscena.
Soprattutto, avevamo ancora bisogno di rivedere la stessa sequenza per tre, quattro, cinque volte di fila, semplicemente con un'angolazione (ma non una distanza critica) diversa. E del riavvolgimento veloce con tanto di orologio per far capire allo spettatore rimbesuito che si sta parlando sempre della stessa azione, dello stesso evento, dello stesso film che non si muove di un millimetro.
Sono le 12 del mattino a Salamanca, in Spagna, c'è un summit per la pace, parla il Bush di turno. Gli sparano, si scatena il panico, lo portano via. Scoppia una bomba, lontana, poi un'altra, più vicina. Il resto è corsa, travestimenti, conti regolati sotto un viadotto. Sangue, vetri. Noia.
Pete Travis, il regista, all'inizio sceglie una strategia, apparentemente fedele agli "8 punti di vista" del manifesto. L'idea non sarebbe male, se lui si chiamasse De Palma. Ma l'anagrafe dice diversamente e così, preso atto della dura realtà, tutto il secondo tempo si snoda come un normalissimo film d'azione, con un unico osservatore (chi, stavolta?) che fa tesoro delle informazioni sparse durante il continuo review della prima parte (4 o 5 ripetizioni, non 8: boh).
Vediamo dunque cosa succede dopo. Apprendiamo che le prime impressioni erano sbagliate: chi sembrava il Presidente è in realtà un sosia, chi un concierge un kamikaze, chi un turista un terrorista. E che c'è una faida - la solita - tra i killer, che William Hurt, il Bush di turno (vabbè), è ancora vivo, che Dennis Quaid, il Dennis Quaid di turno, lo salverà.
Da segnalare, a margine:
- Sigourney Weaver, totalmente inutile nella parte della regista televisiva;
- Forest Whitaker, integralmente scemo nella parte dello spettatore munito di videocamera, con tanto di cuore d'oro, chili di troppo, e una moglie che l'aveva lasciato e lo riprende al telefono, per puro spirito consolatorio;
- La giornalista carina che muore subito (uno spreco indecoroso);
- La frangia terrorista spagnola (con tanto di dialoghi sottotitolati, che fa molto nemico);
- La guardia del corpo rintronata (il suddetto Quaid, con gli angoli della bocca perennemente abbassati per lo sforzo, come i sollevatori di pesi alle Olimpiadi), che resta fedele al Presidente e sgomina i cattivi, compreso l'infiltrato, suo ex amico, che invece... che palle.
In tutto questo, sappiatelo, gli U.S.A. non bombarderanno mai delle postazioni terroriste in Marocco - che è un paese amico - solo perchè qualcuno ha sparato al (sosia del) Presidente. Quello che conta sono i principi.
Perché avevamo ancora bisogno di talpe. Di kamikaze. Di sosia con la faccia del Presidente degli Stati Uniti d'America. Avevamo ancora bisogno del budget, del montaggio adrenalinico, della messinscena.
Soprattutto, avevamo ancora bisogno di rivedere la stessa sequenza per tre, quattro, cinque volte di fila, semplicemente con un'angolazione (ma non una distanza critica) diversa. E del riavvolgimento veloce con tanto di orologio per far capire allo spettatore rimbesuito che si sta parlando sempre della stessa azione, dello stesso evento, dello stesso film che non si muove di un millimetro.
Sono le 12 del mattino a Salamanca, in Spagna, c'è un summit per la pace, parla il Bush di turno. Gli sparano, si scatena il panico, lo portano via. Scoppia una bomba, lontana, poi un'altra, più vicina. Il resto è corsa, travestimenti, conti regolati sotto un viadotto. Sangue, vetri. Noia.
Pete Travis, il regista, all'inizio sceglie una strategia, apparentemente fedele agli "8 punti di vista" del manifesto. L'idea non sarebbe male, se lui si chiamasse De Palma. Ma l'anagrafe dice diversamente e così, preso atto della dura realtà, tutto il secondo tempo si snoda come un normalissimo film d'azione, con un unico osservatore (chi, stavolta?) che fa tesoro delle informazioni sparse durante il continuo review della prima parte (4 o 5 ripetizioni, non 8: boh).
Vediamo dunque cosa succede dopo. Apprendiamo che le prime impressioni erano sbagliate: chi sembrava il Presidente è in realtà un sosia, chi un concierge un kamikaze, chi un turista un terrorista. E che c'è una faida - la solita - tra i killer, che William Hurt, il Bush di turno (vabbè), è ancora vivo, che Dennis Quaid, il Dennis Quaid di turno, lo salverà.
Da segnalare, a margine:
- Sigourney Weaver, totalmente inutile nella parte della regista televisiva;
- Forest Whitaker, integralmente scemo nella parte dello spettatore munito di videocamera, con tanto di cuore d'oro, chili di troppo, e una moglie che l'aveva lasciato e lo riprende al telefono, per puro spirito consolatorio;
- La giornalista carina che muore subito (uno spreco indecoroso);
- La frangia terrorista spagnola (con tanto di dialoghi sottotitolati, che fa molto nemico);
- La guardia del corpo rintronata (il suddetto Quaid, con gli angoli della bocca perennemente abbassati per lo sforzo, come i sollevatori di pesi alle Olimpiadi), che resta fedele al Presidente e sgomina i cattivi, compreso l'infiltrato, suo ex amico, che invece... che palle.
In tutto questo, sappiatelo, gli U.S.A. non bombarderanno mai delle postazioni terroriste in Marocco - che è un paese amico - solo perchè qualcuno ha sparato al (sosia del) Presidente. Quello che conta sono i principi.
LA SCHEDA
Prospettive di un delitto
In una frase: "Questo film l'hanno girato in un giorno"
Sconsigliatissimo: a chi vorrebbe vedere un film non banale sul terrorismo mediatico (scegliete Cloverfield), a chi ama il poliziesco di classe (tornate a Pakula), a chi vuole un po' di cinema (andate da un'altra parte)
Giudizio: KKKk
Sconsigliatissimo: a chi vorrebbe vedere un film non banale sul terrorismo mediatico (scegliete Cloverfield), a chi ama il poliziesco di classe (tornate a Pakula), a chi vuole un po' di cinema (andate da un'altra parte)
Giudizio: KKKk
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