Ed è
decisamente meglio che all'infinita clemenza si raccomandino gli
artefici di tanta infamità, lo si dica chiaramente e fin da subito:
il film in questione è una bestialità senza salvezza. Che fosse in
concorso a Cannes desta meraviglia, anzi forse meglio sarebbe dire
sospetto, tremendo sospetto. O è la burla cinematografica del 21mo
secolo oppure qualcuno dovrà molte, moltissime spiegazioni – e
sarà meglio che siano convincenti.
Refn ci aveva
tutti sedotti, impertinente, in tempi recenti col bellissimo Drive:
un'indagine sulla sua produzione precedente aveva lasciato qualche
dubbio di costanza di rendimento e purtuttavia pareva di cogliere
sicuro il talento, magari ancora alla ricerca di una modalità
espressiva (non che mancassero le idee, soprattutto visive) ma
presente ed in ascesa. Si apprende dunque con gioia dell'imminente
uscita del nuovo suo lavoro, per di più in ribadita accoppiata col
suo feticcio Ryan Gosling (eccellente reincarnazione postmoderna di
Stallone nel succitato Drive) e con la presenza – preannunciata
sulfurea oltre ogni dire – della sempre splendida Kristin Scott
Thomas. Concorso a Cannes de rigueur
e, a stretto giro di posta, debutto in sala nostrana: tutto
concorreva a proporci l'ottimo finale di un fine settimana.
S'aggiunga la durata modica (90 minuti, di quelle cose che ti fanno,
ignaro, invocare un “ma perché non lo fanno tutti di contenersi
nei tempi?” - ottimismo classicamente foriero di sventura) e si
deduce l'inevitabilità della scelta: visione, senz'altro.
I 90 succitati minuti sono sconcertanti a dir poco: NWR ha
confezionato un'ingiustificabile sequenza di inquadrature ad effetto
in salsa rosso scuro (tocchi di blu, rarissimi gialli, una sola scena
alla luce del sole), appiccicate con lo sputo ad una trama che
generosamente definiremo risibile e con inserti comici (ahi:
involontari!) di rara potenza. Tra le hit:
- la Scott Thomas, un tempo lady di provata eleganza e capacità attoriali, conficcata a viva forza in un ruolo grottescamente sgradevole, con pose da diva anni '40 (perennemente fumante et perennemente schifata dalla sigaretta che tiene a distanza equilibrandosi mirabilmente su tacchi da 15) e vocabolario da scaricatore di porto anni qualsiasi;
- impossibile da descrivere veramente, comunque (in sostanza): scena di karaoke tra poliziotti, peraltro iterata con lievi alterazioni per tre volte in altrettanti momenti cruciali (mah) del film: se non altro non veniamo beneficiati di sottotitoli quindi ci risparmiamo la traduzione di quella che, verosimilmente, è una hit neomelodica Thailandese (da segnalare che il capo-cantore si commuove della propria stessa intepretazione, ad un certo punto);
- su tutto e tutti: Gosling, in perenne stato di confusione, evidentemente abbandonato in luoghi sconosciuti ed in balia di ignoti si lascia andare a faccine buffe d'ogni sorta e si guarda attorno stranito (commovente nel suo non avere un'idea), costantemente sull'orlo di una crisi di panico (verosimilmente per essersi trovato a Bangkok senza preavviso e nel mezzo di un disastro cinematografico di proporzioni ragguardevoli, per giunta).
Non vorremmo privare il pubblico dei piaceri della trama (scriverlo
senza ridere è impresa non da poco) quindi ci limitiamo a
sintetizzare: dei bianchi trapiantati a Bangkok (per motivi che
verranno, circa, chiariti in seguito) gestiscono ufficialmente una
palestra di Thai Box (“quel covo di froci” KST dixit) in realtà
scontatissima copertura per giri di stupefacenti e puttane. Il
fratello senior, viziosetto, gira nottetempo la città in cerca di
sesso con minori, cosa che dovrebbe non essere tanto difficile nella
parte del mondo in questione ma che egli trasforma in un casino
immane a base di stupro ed omicidio (“avrà avuto le sue buone
ragioni”, sempre KST). Rimasto bellamente sulla scena del delitto
incorre nelle ire (giuste?) di un non ben qualificato (“lo sai chi
è lui?” no, francamente) descamisado che gira a capo della polizia
locale, o se non altro di un gruppetto non esattamente ligio alla
procedura. Costui è un attempato ma combattivissimo autoctono che
cammina come un minus habens (braccia lungo i fianchi, palmi rivolti
all'indietro) ma domina i bassifondi a colpi di uno spadone/coltellone
che estrae sanza colpo ferire da non si sa bene dove (zona
fondoschiena, comunque) e maneggia con maestria da Campione Mondiale
di Wok alle verdure: fantasiosi i modi in cui affetta coloro su cui
impartisce la sua (a voler essere pignoli un po' sommaria) giustizia.
Ne seguirà un vortice di vendette incrociate nel quale precipitano
la premurosa mammina frettolosamente recatasi nel sudest asiatico
(appunto la Scott Thomas con extensions bionde, braccia cicciotte e
tendenze sado-maso-porn-incestuosomicide) e da subito incline ad
inimicarsi i locali (“ ho volato 16000 km, sono in piedi da 30 ore
e questa puttana non vuole darmi la stanza”), lo stesso figlioletto
Gosling che pure cercava di fare il bravo risparmiando l'esecutore
materiale del primo delitto (e presentando alla genitrice la sua
“fidanzata”: peccato che KST la sgami immediatamente come
prostituta – fatto non troppo ragguardevole considerando che sono
tutte puttane, nessuna esclusa, le abitanti di Bangkok secondo Refn –
e come tale la apostrofi a cena) ed appunto il misterioso
attempatello che spadroneggia su madamini e malfattori di cui sopra
(con accoliti, è chiaro).
Grande spreco di simbolismi psicanalitici d'accatto, di sangue (i
sicari di scarsissima precisione al tiro e poco valore materiale sono
bene comune, pare, in loco) e modi di estrarlo, di allusioni sessuali
(non sempre velatissime “tuo fratello aveva un cazzo enorme, non
potevi competere con lui” KST a cena, le buone maniere anzitutto);
e poi tentativi di scene epico-iconiche e di sfruttamento dei volti a
la Sergio Leone (ma lo sguardo perduto di Gosling lascia
perennemente interdetti e sospesi su un vuoto di senso e speranza)
che culminano in una scazzottata onestamente troppo a senso unico
(era chiaro che il 60enne asiatico avrebbe pestato il 30enne
biondocchiazzurrato, ma così è veramente troppo: peraltro il
tumefatto Gosling che ne esce, con occhi pesti e naso cubista, quasi
convince più della versione precedente). Insomma un pasticcio
autentico, una crasi impossibile (ed ingiustificabile, appunto) tra
misticismi occidentali e pizze in faccia orientali, stilemi onirici
con enormi eccessi pulp, qualcosa che sarebbe potuto uscire da un
mostruoso ibrido cinematografico (Bruce Lynch, tipo) qualora avesse
digerito molto ma molto male (eccesso di soia e spezie, sicuro).
Nel finale un sempre più tristo Panda Gosling ottiene almeno la
castrazione che anelava fin dall'inizio tra allucinazioni ed
impotenze varie: il taglio delle mani con cui aveva fatto male a papà
– e che gli prudono durante tutta la storiaccia, guarda un po', e
del resto di cazzotti si occupa, vedi il caso – ma insomma Oidìpus
Tyrannos fu scritta 24 secoli fa e riesce meglio in salsa greca che
Thai, garantito. Se non altro, appare improbabile un sequel: dio
scampi e liberi, valà.
Voto: KKKK perché diverse inquadrature brutte non sono, la fotografia
è professionale e se non altro la durata è civile. Insomma, per
simpatia e generosità del recensore.
La battuta: “vuoi combattere?” Gosling 5 minuti prima di essere
ridotto a carne macinata da un signore che potrebbe essere suo padre
se suo padre fosse piccolo e giallo - a riprova che non ci capisce
una mazza dall'inizio alla fine.