E rieccoci qui, pronti a
inaugurare la nuova rubrica “Brutti ma buoni”. Film d'elezione il
tetro(spettivo) horror “Quella casa nel bosco” ("The cabin in the
woods"), diretto da Drew Goddard e sceneggiato (nonché prodotto) da
quel buontempone di Joss Whedon, che già ci aveva fatto divertire
con "The Avengers".
L'opera in questione,
indiscutibilmente, si colloca tra gli entertainment riusciti, dunque
non meriterebbe di stare in questo blog. Però, altrettanto
indiscutibilmente, è brutta, o per meglio dire: piena di cose
brutte. Del resto in quale altro modo definireste una storia che
vanta, tra i suoi personaggi, un'intera mandria di zombie d'antan, un
invadente tritone, ballerine bambine con varie file di denti al posto
del volto, draghi ingestibili, unicorni omicidi, il redivivo Pinhead
e soprattutto “gli Antichi”? Ah, gli Antichi.
La premessa non è
diversa da tante altre imprese di genere: cumpa di cinque giovani
(due coppie, una reale e una potenziale, con full di un amico fumato)
che va a spassarsela per il weekend in uno sperduto casolare
boschivo, scenario buono per killer alla Jason Voorhees (c'è anche
il laghetto), senza minimamente subodorare che una catastrofe sta per
abbattersi sulle loro innocenti vite.
Da tempo gli horror si
sono ripensati, in mancanza di idee fresche: hanno iniziato a
prendere in giro i propri stessi meccanismi, si sono fatti cerebrali,
al punto tale che è sempre più difficile mettere insieme delle
trame che risultino ad un tempo paurose e originali. Qui il gioco è
a carte scoperte, perché in realtà contro i malcapitati non si
staglia il villain di turno, spettro o meno che sia, bensì un'intera
organizzazione segreta, che ne controlla e orienta le mosse da un
centro di comando, tramite telecamere nascoste e vari marchingegni
installati nella casupola.
L'effetto Truman show è
immediato, il senso del tutto un po' meno: la finalità principale
dei crudeli guardoni non è registico-estetica, ma addirittura
salvifica: vogliono dare i gitanti suddetti, quale ex voto annuale
per un'eterna pace sulla Terra, in pasto a una congrega di mostri,
allo scopo di riservare il loro sangue a delle divinità immortali,
perennemente affamate (i lovecraftiani Antichi di cui sopra),
affinché restino buone nei meandri geologici, e non riemergano con
effetti apocalittici sul pianeta.
Il risultato è uno
strano pastiche di oscurantismo e tecnologia, fra l'altro non
limitato al suolo americano, ma esteso a tutto l'orbe terracqueo. Con
sapida citazione da "The ring", per esempio, a Kyoto delle piccole
alunne evocano il classico spirito della bambina bagnata, ma con
disdoro dei grandi capi della corporation riescono a debellarla: per
il sangue rivolgersi al bosco del titolo, anche perché nel resto del
mondo le cose non funzionano meglio.
Naturalmente, come sempre
accade in queste vicende metafilmiche, la perversione la fa da
padrone, così scopriamo che, all'interno della sede centrale, al
rinnovarsi del sacrificio, tutti gli impiegati scommettono dei soldi
su quale sarà il demone evocato dalle vittime. Sì, perché – ed è
questo l'aspetto più divertente della faccenda – il menu prevede
che i sicari dell'altro mondo non siano predeterminati, ma rinchiusi
in un reticolo di celle sotterranee, dalle quali verranno liberati
all'uopo a seconda delle scelte che gli ospiti della casa
decideranno, inconsapevolmente, di compiere.
Luogo fatidico per
l'evocazione è una sudicia cantina, adeguatamente ingombra di
bambole agghiaccianti e formulari necronomici, in cui i protagonisti,
per malsana curiosità, finiranno per addentrarsi, rendendosi
artefici del loro triste destino. Naturalmente, siccome siamo al
cinema, deve scattare l'elemento conflittuale, in questo caso
rappresentato dal tossico succitato, che, avvezzo alla marijuana come
ad un secondo ossigeno, ha il contravveleno agli effluvi malefici
scatenati nelle stanze della casa per stordirne gli abitanti e
indurli a mettersi alla mercé dei cattivi.
Gli effetti saranno
terribili: messosi in salvo contro ogni previsione, prima sgominerà
gli zombie risvegliati per l'occasione, poi trascinerà con sé
l'amica superstite fino alle prigioni, disattivando il sistema di
sicurezza e scatenando il greatest hits delle brutture contro i loro
stessi carcerieri, compreso lo staff della stanza dei bottoni e la
mastermind dell'intera operazione, una torva Direttrice
(interpretata, insospettabilmente, da Sigourney Weaver). Così
facendo, avrà salva (temporaneamente) la vita, ma lascerà gli
Antichi a bocca asciutta, dando così origine al loro devastante
ritorno e alla conseguente fine del genere umano.
Tanto detto, i
complimenti – è pur sempre una rubrica di servizio – sono
finiti, e meritano di essere segnalate alcune indiscusse perle che,
con un filo di noia in più, avrebbero direttamente spedito il film
in orbita Kevin. Di seguito:
- Assolutamente ridicolo lo stratagemma per far entrare i ragazzi in cantina. Nel pieno della prima serata nel casolare, si apre di botto un botolone in soggiorno, a occhio pesante come un macigno. Uno degli ignari, con ammirevole logica, ipotizza: “l'avrà spalancata il vento”, meritandosi così di soccombere;
- Indimenticabile la famiglia zombie scelta per gli assassinii rituali: i Buckner, sorta di quintessenza del bigottismo americano del secolo scorso, completi di bimba senza un braccio e altri elementi poco raccomandabili. Tra questi, menzione d'onore per il generosissimo Judah Buckner, smembrato a colpi di cazzuola ma ancora straordinariamente coriaceo;
- Pregevole, dal punto di vista balistico, la fine di uno dei protagonisti, interpretato da Chris Hemsworth, già noto per "Thor". Con fiducia inusitata, si lancia con la propria moto oltre un dirupo, ma si schianta desolatamente contro una barriera elettrica invisibile, eretta subito dopo l'arrivo degli “agnelli” (così sono definiti i sacrificabili dal guardiano invasato alle dipendenze del bureau) nella località del massacro. Fra l'altro, era appena scampato all'assalto dei Buckner in un anfratto del bosco, attiratovi con amica vogliosa (lei, purtroppo, fatta a pezzi) da improbabili geyser ormonali attivati dalla centrale. Peccato;
- Quantomeno rivedibili i criteri per la scelta delle vittime. La compagnia dovrebbe impersonare, secondo codici simili ai tarocchi, le figure dell'Atleta (il motociclista di cui sopra), della Puttana (la relativa morosa), del Folle (il fattone immune), dello Studioso (un inutile, e ugualmente muscolare, individuo, ucciso mentre teorizza l'uscita da un tunnel in macchina) e infine della Vergine (l'altra superstite, che vergine non è, ma pazienza: si fa con quel che si ha, dice Sigourney cadendo di tono). Per ragioni non chiare, solo quest'ultima è risparmiabile, ma vista la grancassa conclusiva non è proprio il caso di sottilizzare.