Facciamo in fretta, una recensio brevis (nuova categoria?), ché avrei daffare – e poi il film in questione non è così tanto brutto. O forse lo è, però non riesce a farsi odiare, ad indignarmi a dovere: perché si tratta di una cosa a basso budget, raffazzonata il giusto, finto documentaristica non perché si credano fighi ma perché proprio i soldi per un dolly non ce li avevano, chiaramente.
Eppoi diciamocelo: quando nella locandina infilano le suore con occhi indiavolati che poi nel film non ci sono (trattasi di una Sorella vecchiarda cieca che compare sì e no un secondo), i titoli di coda sono infarciti di manovalanza est-europea (che a Hollywood non li toccherebbero nemmeno coi guanti da giardinaggio) e nel film si presentano multiple inquadrature di carabinieri in servizio (sì, vabé) avete già capito tutto: siamo poco oltre un cazzo di reality nostrano, per qualità realizzativa.
Il tutto è, fortunatamente, a supporto di una sceneggiatura tipo ore 10 calma piattissima: non c'è una sorpresa che sia una, si segue un canovaccio très canonico, alla fine muoiono tutti ripresi da telecamera fissa con immagine che va e viene. Tipo Blair Witch sulla Tiburtina, insomma; già, perché si sta a Roma, per la maggior parte della cosa. Che, in sintesi, va come segue: una bella poco più che sbarbi (dichiara 29 anni ma ne ha di meno, o ne dimostra di meno: sì insomma è abbastanza gnocca con tendenza latina nei lineamenti, come si conviene) americana a nome Isabella Rossi (molto yankee) decide di girare un documentario “per la sua mamma”. La quale mamma (Maria Rossi, la fantasia al potere) ha, in una tranquilla (pallosissima) cittadina americana massacrato tre persone che cercavano di esorcizzarla, venti anni or sono, ed è stata in seguito rinchiusa in un ospedale psichiatrico in quel di Roma. Mah. La semisbarbi apprende del fatto dal padre, che le rivela il tutto quando compie 25 anni, salvo morire (lui) tre giorni dopo: ella non coglie il lievissimo presagio di sventura e si reca quindi, con al seguito un operatore (Michael, un rompicoglioni di raro talento – non cinematografico), nel Belpaese. Ivi si intrufola a lezioni di esorcismo, seduce con la propria determinazione un paio de preti poco propensi a rispettare le regole (e che vivono in un ménage di quelli che poco piacciono a Papa Ratzy, solo che non si può dire apertamente) e con essi si imbarca nell'impresa di determinare se mammeta sia realmente posseduta dal diavolo oppure sia solo per niente sana di mente. Indovinate come va a finire? Bravi.
La cosa bella è che, nel tutto, si vedono (o si intuisce come vanno a finire) tre esorcismi: in due dei quali schiantano tutti. Nel terzo una innocente ragazzetta assai invasata fornisce le uniche mosse spettacolari in senso classico del termine (camminata sui muri tipo ragno, fontana di sangue dai genitali, arti slogati in svariate direzioni etc, come insegna l'Esorcista – quello vero, ostia!) eppure viene, pare, liberata. In 7 minuti netti. Roba che pareva che i due pretini sapessero il mestiere loro. Invece. Non è stato poi così breve. Il film, per fortuna, un'ora e un quarto più dei lentissimi titoli di coda.
Ps: ah, sì, dimenticavo: strepitoso il momento in cui il prete cicciozzo, dopo aver tentato di liberare Mariarossi-non-pregare-per-noi da una pletora di demonii, si reca ligio ad officiare un battesimo. Paciosissimo, si mette ad annegare l'infante. La famiglia, pare, non lo richiamerà per la comunione.