domenica 13 febbraio 2011

Sanctum 3d


Non meriterebbe nemmeno tanti strali. Dopotutto, è tratto da una storia vera, ha un’idea di fondo non scontata ed è sviluppato in modo dignitoso. Ma porta il nome di Cameron (come produttore esecutivo: il regista è il mestierante Alister Grierson), promette meraviglie 3d ed è di una noia mortale. Dunque, strali.
Per cominciare, la trama: gruppo di ardimentosi speleologi si avventura in un reticolo di grotte sotterranee della Nuova Guinea, in cerca di passaggi inesplorati per il mare. Verrà sorpreso da un uragano che, allagando i cunicoli, li costringerà a trovare la via d’uscita.
Come ci è stato suggerito, "Sanctum 3d" sarebbe stato un film ideale per Sylvester Stallone, quello, per intenderci, più sfacciatamente muscolare di "Daylight" e "Cliffhanger", ma il tempo passa e si è dovuto ripiegare, per il ruolo di protagonista, sul meno noto Richard Roxburgh, che resta impresso nella mente, più che per la rocciosa interpretazione, per una somiglianza impressionante con Lance Armstrong. Un'occasione persa, anche perché per il resto c'era ben poco di che recitare, visto il deprimente stuolo di stereotipi action messo insieme dagli sceneggiatori. In serie: il figlio dell'eroe, abile nel free climbing ma in perenne conflitto caratteriale col padre, il ricco finanziatore della spedizione, alle prese suo malgrado con una lotta per la sopravvivenza (dove farà naturalmente sfoggio del peggior egoismo) e la relativa fidanzata, carina ma - ahinoi - inesperta di immersioni. A contorno, gli inermi membri della crew, tutti adeguatamente sacrificabili, vuoi schiantati sul granito, vuoi stremati dalle ferite, vuoi, più semplicemente, annegati.
Se in tutto questo, quantomeno, l’occhiale 3d restituisse quello che promette, torneremmo a casa contenti. Ma l’unica cosa che si nota è la reiterata brutta copia delle intuizioni di "Avatar": la foresta selvaggia ripresa dall’alto (menu a la carte iniziale per abbindolare lo spettatore), le inquadrature acquatiche mortificate dagli angusti spazi di manovra (i personaggi devono perennemente affrontare impervie vie di fuga), la pornografica insistenza sul dettaglio in rilievo, ormai un vero e proprio bug della tridimensione: qui una foglia, lì una bombola, ovunque una sporgenza minerale. Della profondità di campo, dell’invasività del più illustre progenitore, non resta assolutamente nulla.
Un’altra, piuttosto, è stata la speranza: pur apprendendo che il plot traeva spunto da un fatto reale, abbiamo sperato sino all’ultimo che dai recessi bui uscisse, come un degno scherzo di carnevale, qualche succoso mostro marino, di quelli buoni per riabilitare l’intera impresa (Alien strikes back). Invece niente: solo boccagli, sforzi e dialoghi banali. Su cui campeggia, come un singolare barocchismo, la citazione di Kubla Khan di Coleridge, che il protagonista declama al figlio tra un’arrampicata e l’altra, chiosando: “Era fatto di oppio quando l’ha scritta”. Grazie Lance, torna pure alla decompressione.
Note a margine:
  • Ottimo il ritratto dell’eroe fuoriuscito dallo script: immaginatevi Lance Armstrong leggermente invecchiato e palestrato che guida con piglio decisionista un manipolo di riluttanti compagni di sventura (cioè i gregari di turno) verso l’ignoto. Cinico, a proprio agio con le scelte tragiche, non si scompone minimamente di fronte a morti orribili, sofferenze atroci e più o meno espliciti disaccordi sulle sue scelte operative. Memorabile, in questo senso, l’ordine all’unica donna della spedizione rimasta in vita (l’altra, guarda caso, muore annegata nell’inutile tentativo di strappare al nostro una razione d’ossigeno che non le compete): visto che sei la più scarsa, chiudi la fila, così se ti incastri tra le rocce muori solo tu. Stupisce che, di fronte a un simile esempio di umanità, il figlio non riesca a intessere il tanto agognato dialogo con lui;
  • Notevole anche la sequenza del momento clou di cui sopra: chiudendo la fila, effettivamente la sventurata si incastra in una strettoia. I compagni già la danno per spacciata, poi, nella scena successiva, eccola sbucare sana e salva dagli anfratti. Nessuno di loro sa come ci sia riuscita e, in verità, nemmeno noi;
  • Pessimo, ancora una volta, il trattamento riservato alle culture esotiche dall’american production: poco prima e poco dopo l’erompere dell’uragano che dà una scossa (vabè) al film, scorgiamo defilata la sagoma di un funebre e cinereo aborigeno. Il solito, silenzioso monito a non sfidare la natura. E a dirci che, non avessimo letto bene i titoli di testa, ci troviamo in Nuova Guinea.
LA SCHEDA
Sanctum 3d
In una frase: “ma quando arrivano le bestiacce?”
Sconsigliatissimo: a chiunque si aspetti le bestiacce, Stallone o James Cameron. E sia convinto che anche Armstrong, in realtà, si sia dopato.
Giudizio: KKK