Possiamo anche accettare che Fabio Volo racconti compiaciuto che non è né scrittore né attore né conduttore e che fa sempre quel cazzo che vuole. Ci è pure simpatico, proprio perché consapevole della sua veste di personaggio medio, adattabile, folle come il prezzemolo, scontato come i posti alle tavolate nuziali. Gradiremmo però, quantomeno in un film mainstream, che ha inopinatamente ricevuto il contributo del Ministero (Bondi, anziché scrivere poesie a Elio Vito, potrebbe aggiornarsi sul cinema), cercasse di metterci un filo di partecipazione, se non di recitazione. Ma la colpa è anche di chi l’ha scelto, (non) l’ha diretto artisticamente e gli ha lasciato libertà assoluta di essere inutile, nel ruolo dell’unico protagonista incolto di un’operina zeppa di intellettualismi d’ogni sorta, a cominciare dal manifesto con pile di libri in bella evidenza.
Allora, lo diciamo subito: non ne possiamo più di registi che, non si sa se per estrazione culturale, vissuto privo di sussulti, opzione piaciona o semplice noia, straparlano di masse di fancazzisti più o meno eruditi, che dall’alto (o dal basso) di cattedre universitarie, frustrazioni amorose, versi sciatti, fascinazioni per il mondo letterario, passano la loro trascurabile esistenza blaterando con sussiego di libri, capolavori che non hanno mai saputo scrivere, eroi che non sono mai riusciti ad essere. La vita, cari miei, non è questa. Si provi, la Margherita Buy di turno, ad appassionarsi al dolore, alla stanchezza, alla fatica, perfino al tempo e alla fame, invece di annotare sullo screen saver quanti giorni passano tra una scopata e l’altra, o di precipitare in un cassonetto delle immondizie per riprendersi i suoi pensieri di carta, e sciorinarli all’ennesimo vate dei reading infrasettimanali. Ed esca con persone diverse, non Luciana Littizzetto sua collega di libreria, coreografica come uno scaffale, mitigata dal ruolo ma evidentemente non dal cachet, né col topo di biblioteca dai denti storti che si professa il nuovo Von Trier.
In mancanza, rivolga la sua interpretazione altrove, perché se il background è questo ci si deve aspettare il peggio, compresi gli insopportabili dettagli da canovaccio progressista, come rappresentare un corso pre-matrimoniale con due coppie di extracomunitari su tre, o il prete con turbe sessuali che ci riprova con la ex: i moralismi, per cortesia, teneteli per i salotti del Parioli, mentre discettate di Vinterberg a colpi di Chablis, qui si dovrebbe raccontare una storia, non sprecare pellicola coi luoghi comuni. Ma tant’è, questo è il clichè di “Matrimoni e altri disastri” – ecco, ora possiamo parlarne – ultima fatica di Nina Di Majo, ricca dei già indicati soliti noti e povera, poverissima, di verve. Storia incerta, priva di direzione: la suddetta Buy, sorella di una nubenda (Francesca Inaudi, senz’altro la meno pagata del cast), gestisce una libreria in centro a Firenze, spasima per un poeta che tiene corsi pomeridiani, ospita un saccopelista con velleità registiche e sopporta a malapena il futuro cognato (Volo), grezzo e sopra le righe quanto dev’essere il workaholic moderno, ma ovviamente affabile. Nel frattempo, dà ripetizioni al figlio della collega Littizzetto (l’unico con l’inflessione toscana, nonostante la location, e l’unico che si innamori di lei, nonostante il film) e presenzia a cene combinate con potenziali futuri partner, uno dei quali, docenza a parte, ha un’invadenza inferiore soltanto alla propria alitosi.
A tanto giunti, gli sceneggiatori (?) si rendono contro della mala parata, e a fine primo tempo fanno scattare il guizzo: mettiamo che tutti tradiscono tutti, che la vita non è solo piatta e senza qualità, ma pure peggiore di quanto si sperava. E quindi, in ordine di corna:
1- La sorella della Buy le confessa di non essere tale, essendo stata concepita dallo zio;
2- Il padre, richiesto di delucidazioni sul punto, le conferma tutto, compreso che la moglie tiene ancora in piedi lo sconveniente menage;
3- Il poeta-vate le racconta di avere a sua volta una relazione con la sorella, infrangendole in un amen tutti i sogni letterari e non solo;
4- Lei, per rifarsi della vita grama, si scopa il nubendo in pieno addio al celibato.
Morale? La traccia, in modo esemplare, la madre Marisa Berenson, che grazie a un poderoso lifting è più giovane della figlia: “La vita è un casino”. E in effetti, non le si può dare torto: recitare in "Barry Lindon" e ritrovarsi, 35 anni dopo, a interpretare la suocera di Fabio Volo non è esattamente uno scherzo.
Allora, lo diciamo subito: non ne possiamo più di registi che, non si sa se per estrazione culturale, vissuto privo di sussulti, opzione piaciona o semplice noia, straparlano di masse di fancazzisti più o meno eruditi, che dall’alto (o dal basso) di cattedre universitarie, frustrazioni amorose, versi sciatti, fascinazioni per il mondo letterario, passano la loro trascurabile esistenza blaterando con sussiego di libri, capolavori che non hanno mai saputo scrivere, eroi che non sono mai riusciti ad essere. La vita, cari miei, non è questa. Si provi, la Margherita Buy di turno, ad appassionarsi al dolore, alla stanchezza, alla fatica, perfino al tempo e alla fame, invece di annotare sullo screen saver quanti giorni passano tra una scopata e l’altra, o di precipitare in un cassonetto delle immondizie per riprendersi i suoi pensieri di carta, e sciorinarli all’ennesimo vate dei reading infrasettimanali. Ed esca con persone diverse, non Luciana Littizzetto sua collega di libreria, coreografica come uno scaffale, mitigata dal ruolo ma evidentemente non dal cachet, né col topo di biblioteca dai denti storti che si professa il nuovo Von Trier.
In mancanza, rivolga la sua interpretazione altrove, perché se il background è questo ci si deve aspettare il peggio, compresi gli insopportabili dettagli da canovaccio progressista, come rappresentare un corso pre-matrimoniale con due coppie di extracomunitari su tre, o il prete con turbe sessuali che ci riprova con la ex: i moralismi, per cortesia, teneteli per i salotti del Parioli, mentre discettate di Vinterberg a colpi di Chablis, qui si dovrebbe raccontare una storia, non sprecare pellicola coi luoghi comuni. Ma tant’è, questo è il clichè di “Matrimoni e altri disastri” – ecco, ora possiamo parlarne – ultima fatica di Nina Di Majo, ricca dei già indicati soliti noti e povera, poverissima, di verve. Storia incerta, priva di direzione: la suddetta Buy, sorella di una nubenda (Francesca Inaudi, senz’altro la meno pagata del cast), gestisce una libreria in centro a Firenze, spasima per un poeta che tiene corsi pomeridiani, ospita un saccopelista con velleità registiche e sopporta a malapena il futuro cognato (Volo), grezzo e sopra le righe quanto dev’essere il workaholic moderno, ma ovviamente affabile. Nel frattempo, dà ripetizioni al figlio della collega Littizzetto (l’unico con l’inflessione toscana, nonostante la location, e l’unico che si innamori di lei, nonostante il film) e presenzia a cene combinate con potenziali futuri partner, uno dei quali, docenza a parte, ha un’invadenza inferiore soltanto alla propria alitosi.
A tanto giunti, gli sceneggiatori (?) si rendono contro della mala parata, e a fine primo tempo fanno scattare il guizzo: mettiamo che tutti tradiscono tutti, che la vita non è solo piatta e senza qualità, ma pure peggiore di quanto si sperava. E quindi, in ordine di corna:
1- La sorella della Buy le confessa di non essere tale, essendo stata concepita dallo zio;
2- Il padre, richiesto di delucidazioni sul punto, le conferma tutto, compreso che la moglie tiene ancora in piedi lo sconveniente menage;
3- Il poeta-vate le racconta di avere a sua volta una relazione con la sorella, infrangendole in un amen tutti i sogni letterari e non solo;
4- Lei, per rifarsi della vita grama, si scopa il nubendo in pieno addio al celibato.
Morale? La traccia, in modo esemplare, la madre Marisa Berenson, che grazie a un poderoso lifting è più giovane della figlia: “La vita è un casino”. E in effetti, non le si può dare torto: recitare in "Barry Lindon" e ritrovarsi, 35 anni dopo, a interpretare la suocera di Fabio Volo non è esattamente uno scherzo.
LA SCHEDA
Matrimoni e altri disastri
In una frase: “apri la birra, dai”Matrimoni e altri disastri
Sconsigliatissimo: a chi pensa che il cinema italiano disimpegnato possa essere pure peggio di quello impegnato.
Giudizio: KKKK